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Crisi di nervi

Il puzzle delle coalizioni dei partiti politici italiani. Per fare politica, però, serve pazienza e tanta voglia di costruire.
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Crisi di nervi

Il puzzle delle coalizioni dei partiti politici italiani. Per fare politica, però, serve pazienza e tanta voglia di costruire.
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Il puzzle delle coalizioni dei partiti politici italiani. Per fare politica, però, serve pazienza e tanta voglia di costruire.
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Il puzzle delle coalizioni dei partiti politici italiani. Per fare politica, però, serve pazienza e tanta voglia di costruire.
È simbolo di una nemesi beffarda lo spadone social che si è abbattuto su Carlo Calenda, infilzandolo di critiche per il suo no all’alleanza con il Pd. Il leader di Azione usa Twitter come un bazooka: la reazione ritorsiva – qualcuno digitalmente avvertito parla di shitstorm – sul suo stesso terreno era scontata. Come pure scontato è stato il coro di accuse che gli è piovuto addosso: da traditore a infido spregiudicato fino al caratterialmente instabile. Rigurgiti pavloviani di una politica che non sa riflettere su sé stessa e che per definire possibili intese usa il joystick al posto dell’accortezza, quasi fosse immersa e compiaciuta nella virtualità di un videogioco. Roba che potrebbe perfino strappare un sorriso di commiserazione se non fosse che di mezzo ci sono milioni di cittadini che aspettano di capire cosa ne sarà di loro e delle loro difficoltà una volta chiuse le urne. Forse è doveroso tentare una lettura un po’ più approfondita che superi il disarmante scambio di contumelie per capire quali dinamiche si siano smosse nel mancato accordo tra Azione e Nazareno. Rifiutando allo stesso tempo gli schemi asfittici delle collocazioni geometriche: quello è un po’ più a destra, quell’altro a sinistra. O socio-imbonitrici: uno confindustrioso e pariolino, l’altro professorale e operaista (!). Insomma il primo fascista e il secondo comunista, con un salto all’indietro di mezzo secolo e più. Lasciamo stare. Davvero qualcuno può aggrapparsi all’alibi di Calenda ciclotimico di indole e bulimico di sé oppure di Letta che sognava di fare il novello Prodi a capo di una novella Unione ed è rimasto al palo perché le fotocopie fanno sempre rimpiangere gli originali? No grazie, queste sono giustificazioni consolatorie: vanno bene per i talk show. La realtà è che l’uno e l’altro sono rimasti prigionieri di uno strabismo pernicioso, di un oplà carpiato che non a Prodi bensì a Silvio Berlusconi fa riferimento e che solo a lui è riuscito: con poca gloria e molto gusto di cenere. Solo Berlusconi, nel 1994 l’Uomo col Sole in tasca, è riuscito nel ghirigoro di due alleanze l’una contraria all’altra: al Nord con Bossi che parlava di porcilaia fascista e al Sud con Gianfranco Fini che con il Senatùr non voleva prenderci neanche un caffè. Andò come andò, conosciamo la storia. Ma quel che risulta drammatico è la velleità di aver voluto riproporre trent’anni dopo un’acrobazia politica che la gente ormai conosce e ha imparato a rifiutare. Non va più di moda il double face: l’intesa che prova a mettere insieme su due piani distinti ciò che è inconciliabile, magari magicamente pensando che tutti facciano finta di niente. Coalizioni contraddittorie, che nascono per vincere e poi franano al primo frontale con la concretezza del governare, gli elettori non le vogliono più. Aggiungiamo: per fortuna. Ecco perciò l’errore di Enrico Letta, l’aver immaginato realizzabile un paradosso che invece di fare chiarezza avrebbe ancor più confuso gli elettori: con Calenda per eventualmente governare, con SI e Verdi per arginare le destre. E con Di Maio per prosciugare il bacino di chi una volta era il fortissimo punto di riferimento eccetera e adesso viene degradato a irresponsabile avventurista. Calenda ha piroettato su sé stesso. Letta ha visto franare il pilastro della strategia politica del Pd – cioè l’intesa con il M5S – e ha provato a imbastire qualcosa per rendere meno catastrofica la sconfitta. Ma la politica è paziente e faticosa costruzione. Ingenuo pensare di sostituirla con qualche funambolismo di tipo elettoralistico. Se non è chiaro, glielo spiegheranno i maggiorenti Pd al congresso subito dopo il voto. E a Letta serviranno molto più di un paio d’occhi di tigre. Di Carlo Fusi

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