Il pragmatismo di Mario Draghi potrebbe dopo decenni concretizzare una reale progressione economica, tanto attesa nel nostro paese.
Il pragmatismo di Mario Draghi ha riportato il Green Pass in quella che è la sua oggettiva dimensione. Un provvedimento, come più volte scritto da questo giornale, che non merita grandi polemiche. Nel suo intervento all’Assemblea nazionale di Confindustria, il presidente del Consiglio ha ricordato che si tratta di uno strumento di «libertà e sicurezza, per difendere i cittadini e i lavoratori e tenere aperte le scuole e le attività economiche». Amen.
La vera sfida a cui è chiamata l’Italia è far sì che l’impetuosa crescita economica del 2021, indicata dallo stesso Draghi con franchezza come un rimbalzo dopo il baratro del 2020, diventi una progressione organica della nostra economia.
In sostanza, non è tanto importante glorificare il +6% di quest’anno o il singolo trimestre a ritmi ‘cinesi’, piuttosto fare l’impossibile perché nei prossimi anni l’Italia riesca a mettere a segno risultati non distanti da quelli del 2021. Ed è qui che quel +6% del Pil assume un valore strategico: dimostra, oltre la reazione della nostra economia allo shock della pandemia, che l’Italia non ha perso la capacità di crescere come nei mitici anni del boom.
Possiamo liberarci dell’asfittica progressione dello ‘zero-virgola’, che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni della nostra storia economica. Per ottenere questo risultato è necessario concentrarsi sul vero passaggio chiave delle parole del capo del governo davanti agli industriali. Quello che lo stesso Draghi – in omaggio al termine scelto dal presidente di Confindustria, Bonomi – ha definito un “Patto per l’Italia“.
Guardarsi in faccia e dirsi che la crisi della crescita modello-boom non fu determinata solo dalle mutate condizioni esterne, ma soprattutto dalla fine del tacito accordo fra le parti sociali, per salvaguardare i fondamentali della crescita. È storia: l’impennata delle rivendicazioni sindacali, presto tramutatesi in puro corporativismo, i deleteri effetti del Sessantotto sulla formazione e sulla selezione, il perdurante mito della tutela del posto di lavoro e non del lavoro (e potremmo continuare a lungo) hanno finito per azzoppare la competitività del Paese e la propensione al rischio, sostituendola con l’esplosione della spesa pubblica. Solo così è stato possibile soddisfare il circolo vizioso delle richieste delle diverse categorie e dell’eterno salvataggio di aziende decotte.
Quando Draghi invoca un nuovo ‘Patto per l’Italia’ avanza una richiesta impegnativa, quasi estrema per il Paese che abbiamo conosciuto dagli anni Ottanta a oggi: sostituire il particolare, a spese della collettività, con il generale. Altro che Green Pass.
di Fulvio Giuliani
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