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Dove siamo forti si deve crescere, non adagiarsi

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Bene il mercato delle esportazioni dell’Italia. Ma in quei dati ci sono delle lezioni importanti per il nostro Paese.

Dove siamo forti si deve crescere, non adagiarsi

Bene il mercato delle esportazioni dell’Italia. Ma in quei dati ci sono delle lezioni importanti per il nostro Paese.
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Dove siamo forti si deve crescere, non adagiarsi

Bene il mercato delle esportazioni dell’Italia. Ma in quei dati ci sono delle lezioni importanti per il nostro Paese.
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Siamo forti, nelle esportazioni. Quell’Italia ha già recuperato la botta recessiva portata dalla pandemia. Ma proprio perché siamo forti abbiamo il dovere di non adagiarci sul risultato, correre a fare quel che serve per crescere ancora ed evitare errori. E non solo quella nostra crescita richiede un mondo aperto e un mercato interno di dimensioni europee, ma già ne è frutto. Tanto per archiviare alcune delle scempiaggini che ancora si ripetevano qualche mese addietro, anche se sembra essere passato un secolo, per quanto erano fuori dalla realtà. I dati Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) e Sace (Servizi assicurativi e finanziari per le imprese) dicono che abbiamo riagguantato il livello pre Covid. Molto bene. Ma dicono anche altro. Intanto che le nostre esportazioni, nel 2021, sono cresciute dell’11% rispetto all’anno precedente, ma le imprese esportatrici sono diminuite dell’8%. All’incirca 40mila imprese che esportavano nel 2019 non sono più riuscite a farlo, mentre 30mila hanno cominciato a farlo. Non è un segno di debolezza ma di vitalità. In un mercato è importante crescere, non conservare sempre gli stessi soggetti. Concentrarsi nella seconda cosa porta a introdurre rigidità che diventano nocive per tutti. Gli aiuti migliori, durante il periodo più duro delle pandemia, sono quelli andati a chi ha ripreso o preso a correre. E questo serva di lezione sul lato imprenditoriale: competere significa anche soccombere e lasciare che altri prendano il posto di chi è meno efficiente, si è meno evoluto, ha meno innovato. Ci dicono anche, quei dati, che il 32% delle nostre esportazioni sono realizzate da multinazionali non italiane che producono in Italia. Non è un male, ma un bene. Significa attirare capitali e metterli a profitto. Attenzione, però: quel 32% va esaltato, ma le multinazionali italiane che producono dentro i confini esportano una quota anche più significativa, il 39,4%. E anche questo ha un significato: si deve crescere come dimensione. Gli esportatori non saranno mai difesi efficacemente e semmai indeboliti da politiche protezioniste e nazionaliste, mentre si giovano eccome della loro crescita dimensionale. Dobbiamo puntare a che più numerosi siano i piccoli e medi che diventano medi e grandi. Infine la distribuzione regionale: il Sud e le Isole esportano pochissimo. È segno d’arretratezza, che poi si riflette nella scarsa generazione di ricchezza. Per le ragioni di cui sopra non serve assistenzialismo, ma mercato. di Gaia Cenol

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