Quando Maurizio Sarri, allenatore della Lazio ebbe il coraggio di cantarle alla Lega di serie A.
Italia-Germania 4-3 non è stata e non è una semplice partita di pallone. È stata ed è epica del calcio, un racconto omerico per noi contemporanei. Ebbene di quella partita ricorda Gianni Rivera, fuoriclasse che la giocò, che il portiere azzurro di allora – Ricky Albertosi – dopo il gol del tedesco Müller, gliene disse di tutti i colori. Era successo che il pallone, calciato dai crucchi dal corner, lo dovesse intercettare Rivera e invece nulla. E l’Italia subì una rete. In queste righe non ci interessano gli errori ma la schiettezza del calcio, il suo verismo che ancora oggi, nel XXI secolo, dovrebbe fottersene dell’educazione. Per questo elogiamo l’allenatore della Lazio Maurizio Sarri che ha avuto il coraggio di cantarle alla Lega di serie A. Non nel merito ma nel modo.
A proposito della frequenza delle partite giocate dalla sua squadra ha infatti detto a muso duro: «Non conoscono i comunicati che emanano loro stessi. Non so a cosa fanno riferimento per le 48 ore, forse si riferiscono a una normativa Uefa ma noi domenica non giochiamo una gara Uefa ma di Serie A e c’è espressamente scritto che una squadra può giocare solo il terzo giorno, quindi la storia delle 48 ore non ha riscontro in Italia». La Lega gli ha replicato con le parole del presidente Paolo Dal Pino che, tra le altre cose, ha sottolineato: «Non ci piace la maleducazione, la Lega è la casa di tutti». Buon senso, per carità. Ma con una preghiera. Che il gioco del pallone non diventi uno spot contro la maleducazione. Questo lasciamolo al catechismo.
di Paolo Pelota
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