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Chi sono gli estremisti?

Una delle novità di questa tornata elettorale è che, dopo circa trent’anni di seconda Repubblica, è resuscitato l’asse destra-sinistra che si era inabissato nel 1993-1994 con la dissoluzione dei partiti della prima Repubblica
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Chi sono gli estremisti?

Una delle novità di questa tornata elettorale è che, dopo circa trent’anni di seconda Repubblica, è resuscitato l’asse destra-sinistra che si era inabissato nel 1993-1994 con la dissoluzione dei partiti della prima Repubblica
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Chi sono gli estremisti?

Una delle novità di questa tornata elettorale è che, dopo circa trent’anni di seconda Repubblica, è resuscitato l’asse destra-sinistra che si era inabissato nel 1993-1994 con la dissoluzione dei partiti della prima Repubblica
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Una delle novità di questa tornata elettorale è che, dopo circa trent’anni di seconda Repubblica, è resuscitato l’asse destra-sinistra che si era inabissato nel 1993-1994 con la dissoluzione dei partiti della prima Repubblica
Ora che i Cinque Stelle hanno fatto la loro scelta di campo (a sinistra) e quindi il sistema ha cessato di essere tripolare, torna ad avere senso ordinare i partiti fra un polo di destra e uno di sinistra. Ma qual è l’ordine giusto? Chi sta alle estreme e chi sta al centro? Un aiuto in questo compito ci arriva dalla teoria economica della democrazia, formulata nel lontano 1957 dal grande politologo americano Anthony Downs. Secondo questo schema teorico, l’asse destra-sinistra misura il grado di favore od ostilità all’intervento dello Stato nell’economia. A un polo, quello di sinistra, stanno i partiti più favorevoli all’espansione dello stato sociale (e quindi alle tasse); all’altro polo, quello di destra, stanno i partiti più ostili alle tasse (e quindi alla spesa pubblica). In poche parole: statalisti contro liberisti. Ma dove si collocano i partiti attualmente in competizione in Italia? Chi occupa il centro e chi le estreme? Una risposta ingenua, basata sulle ideologie del passato, è che gli estremi siano occupati dai post-fascisti (Fratelli d’Italia) e dai post-comunisti (Partito democratico), e che il centro sia occupato da Forza Italia e dal cosiddetto terzo polo (Carlo Calenda e Matteo Renzi). Se però ci basiamo sulla teoria economica della democrazia, e anziché guardare all’ideologia guardiamo ai programmi di politica economico-sociale, le cose cambiano sensibilmente. Per capire questa disposizione dei partiti occorre tenere conto che la forza politica più liberista e ostile alle tasse è la Lega, che propone un’aliquota unica del 15%, mentre il partito più statalista sono i Cinque Stelle, che propugnano una misura iper-statalista come il reddito di cittadinanza. Dal punto di vista della teoria economica della democrazia Forza Italia, che si accontenta di un’aliquota del 23%, è un partito più moderato della Lega. E il Partito democratico, che si accontenta del reddito di inclusione, è più moderato dei Cinque Stelle, che puntano su una misura più ampia come il reddito di cittadinanza. Chi resta al centro? Il terzo polo e – sorpresa – il partito di Giorgia Meloni. Il primo perché la scommessa di Calenda e Renzi è di immettere elementi liberali nella cultura statalista della sinistra. Il secondo perché da molti anni l’idea portante della leader di Fratelli d’Italia in materia di politica fiscale non è la flat tax ma la detassazione delle imprese che aumentano l’occupazione. Il che, in definitiva, significa immettere un po’ di keynesismo (più occupazione) nelle politiche liberiste della destra. Insomma, Fratelli d’Italia e terzo polo svolgono, su due versanti opposti, la medesima funzione: moderare gli opposti “estremismi fiscali” dei partiti di destra e di sinistra.   Di Luca Ricolfi

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