Conte e il reddito di cittadinanza
Conte ha disseminato la sua strada di cadaveri, politicamente parlando. In compenso, ha resuscitato un morto: il Movimento 5 Stelle.
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Conte ha disseminato la sua strada di cadaveri, politicamente parlando. In compenso, ha resuscitato un morto: il Movimento 5 Stelle.
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Conte ha disseminato la sua strada di cadaveri, politicamente parlando. In compenso, ha resuscitato un morto: il Movimento 5 Stelle.
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Conte ha disseminato la sua strada di cadaveri, politicamente parlando. In compenso, ha resuscitato un morto: il Movimento 5 Stelle.
Professore ordinario di Diritto civile all’Università di Firenze, Giuseppe Conte è entrato in politica per grazia ricevuta. Non potendo nel 2018 aspirare a Palazzo Chigi né Luigi Di Maio né Matteo Salvini perché si ostacolavano a vicenda, ebbero la bella pensata di incoronare il sullodato professore. E mal gliene incolse. Perché giorno dopo giorno gli ha fatto mancare la terra sotto i piedi. Salvini andò per suonargliele, reduce dal Papeete, e fu bellamente suonato nella seduta del Senato del 20 agosto 2019. Dando prova, con quella mano appoggiata sulla spalla del leader della Lega, di una perfidia sopraffina. E fu per l’appunto da quel momento che iniziò la rapida discesa dell’ex ministro dell’Interno.
La seconda vittima è stato l’altro suo benefattore. In pratica Di Maio è stato accompagnato alla porta senza tante cerimonie, ha fondato un partitino popolato di naufraghi del Palazzo e alle elezioni del 25 settembre scorso è scomparso. E addio sogni di gloria coltivati alla vigilia. Adesso dovrà trovarsi un lavoro. E se non lo trovasse, potrebbe solo sperare nel reddito di cittadinanza. Pure Beppe Grillo, l’Elevato, è scomparso. Era il deus ex machina del Movimento. Ha osteggiato e spesso ridicolizzato Conte, un incassatore provetto. Che, senza darlo troppo a vedere, gli ha assestato quando ha potuto il classico calcio dell’asino.
Dall’ira funesta del novello Pelide Achille non si è salvato neppure Mario Draghi, che se non altro un nuovo posto sa trovarselo da solo. Da quel camaleonte che è, Conte era passato con disinvoltura dal suo primo al suo secondo governo. Ritenne che la sua caduta, nonostante godesse di una fiducia parlamentare sia pur risicata, fosse opera di un oscuro complotto e considerò Draghi un usurpatore da combattere. L’occasione gli fu offerta da Enrico Letta, che pure vestiva le penne del pavone con l’agenda Draghi. Il segretario pro tempore del Pd pretese, su richiesta del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che nel primo decreto Aiuti fosse inserito un termovalorizzatore per la Capitale. E fu così che si aprì la famosa crisi dell’inceneritore. A riprova che la situazione, more solito, è grave ma non seria.
Conte ha disseminato la sua strada di cadaveri, politicamente parlando. In compenso, ha resuscitato un morto: il Movimento 5 Stelle. Sì, ma come? Grazie al voto di scambio, soprattutto al Sud: «Io vi do il reddito di cittadinanza e voi mi date il voto». Un millantato credito. Perché il predetto reddito non lo dà lui, ma il solito Pantalone: noi contribuenti. Almeno la scarpa prima e quella dopo il voto, Achille Lauro se le pagava di tasca sua. Ma Conte ha fatto di più. Ha dato a bere agli elettori che grazie a lui il reddito di cittadinanza non verrà cancellato né modificato. Perché ha assicurato che farà un duro ostruzionismo parlamentare, che con i regolamenti vigenti in pratica non è più possibile. Ma non importa. A questo miles gloriosus basta fare la faccia feroce.
Di Paolo Armaroli
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