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Dopo le urne

Dopo le urne, uno tsunami politico

Dopo le urne, in cui l’Italia ha votato chi non si è prestato a furbizie e giochetti, è in corso uno tsunami politico di cui sarà impossibile non tenere conto
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Dopo le urne, uno tsunami politico

Dopo le urne, in cui l’Italia ha votato chi non si è prestato a furbizie e giochetti, è in corso uno tsunami politico di cui sarà impossibile non tenere conto
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Dopo le urne, uno tsunami politico

Dopo le urne, in cui l’Italia ha votato chi non si è prestato a furbizie e giochetti, è in corso uno tsunami politico di cui sarà impossibile non tenere conto
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Dopo le urne, in cui l’Italia ha votato chi non si è prestato a furbizie e giochetti, è in corso uno tsunami politico di cui sarà impossibile non tenere conto
In una sequenza diventata cult di “Ferie d’Agosto” con la regia di Paolo Virzì, un Ennio Fantastichini espressione del generone romano, parlando della vittoria di Berlusconi si rivolge ammiccando al giornalista de “l’UnitàSilvio Orlando che straparla: «Dite la verità, nun ce state a capì più niente, vero?». Il termine usato è più colorito, ma il senso è chiaro. È una scena che torna con prepotenza alla mente osservando la celebrata schizofrenia che sconcerta analisti politici, osservatori e commentatori nonché una schiera di sociologi e di tuttologi in servizio permanente effettivo, tra il consenso che da presidente del Consiglio uscente mantiene Mario Draghi – e che addirittura è cresciuto dopo le forzate dimissioni – e il corale afflato con il quale l’elettorato si è rivolto a Giorgia Meloni nelle elezioni di dieci giorni fa, garantendole un successo clamoroso. Ma come, è la giaculatoria crescente sui media, Draghi cresce in popolarità e poi la gente vota il partito che gli ha fatto sempre e comunque opposizione? Ma che Italia è mai questa, così inafferrabile e contraddittoria? In realtà, sforzandosi di comprendere i fenomeni politico-sociali senza i paraocchi della faziosità da “schieramento” (però che fatica, vero?), l’aporia è solo apparente. Di fatto gli elettori hanno sostenuto e sostengono l’azione di governo di SuperMario riconoscendone la validità, l’autorevolezza e il prestigio sia interno che internazionale. Agli occhi di una parte fortemente maggioritaria degli italiani, l’ex presidente della Bce era e resta il Migliore, senza che Palmiro Togliatti, che all’epoca così era etichettato, abbia a risentirsene. Hanno – ecco il punto – espresso disappunto per i giochini propagandistici e gli sgambetti ostili che la sua maggioranza così composita ed eterogenea ha disseminato nel corso della sua permanenza a Palazzo Chigi. Ecco perché hanno votato per premiare chi quelle furbizie ha evitato mantenendo, seppur nella distinzione fino alla contrapposizione, coerenza e rispetto. La riprova sta nel fatto che, chiuse le urne, Draghi e Meloni hanno intessuto un rapporto fruttuoso al fine di garantire un ordinato passaggio di consegne e una continuità d’azione per lo meno sui dossier più importanti: approvvigionamento del gas e posizionamento geo-politico dell’Italia. Con buona pace dei tanti scettici, l’agenda Draghi non solo esiste e continua a essere una bussola ma soprattutto viene riconosciuta, almeno nelle sue linee essenziali «e senza inciuci», proprio da chi in Parlamento l’aveva osteggiata. A ben vedere, gli italiani si dimostrano più saggi dei loro rappresentanti politici: è una lezione che andrebbe continuamente ripassata, in particolare dall’enclave radical chic che non se ne capacita. Magari accompagnando il ripasso con la visione del certamente gustoso e lungimirante film di Virzì. Se le cose stanno davvero così, c’è anche un’altra considerazione che va valutata. Il duo Salvini-Berlusconi comincia comportarsi come il subgoverno Fini-Casini del 2001-2006, quando il Cav trionfò nelle urne e i due leader di An e Udc cercarono di limitarne il potere. La verità è che gli eletti del centrodestra nei collegi uninominali devono il loro seggio agli elettori di An. Il travaso che ha premiato Fratelli d’Italia ha consentito a quasi tutti i candidati di centrare il bersaglio del seggio parlamentare. Sono consensi targati Meloni. Chi sostiene di avere più seggi del Pd o di altri partiti dovrebbe riconoscere che quel bottino è stato possibile perché i consensi sono rimasti sì nello stesso contenitore, però cambiando casacca. Politicamente uno tsunami di cui sarà impossibile non tener conto. di Carlo Fusi

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