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Imballati

Sono terminate ieri le elezioni amministrative con la netta affermazione del centrosinistra che vince in 5 delle 6 più grandi città. A destra è giunta invece l’ora di decidere se vivere di sondaggi o di un’idea di futuro.
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Sono terminate ieri le elezioni amministrative con la netta affermazione del centrosinistra che vince in 5 delle 6 più grandi città. A destra è giunta invece l’ora di decidere se vivere di sondaggi o di un’idea di futuro.
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Sono terminate ieri le elezioni amministrative con la netta affermazione del centrosinistra che vince in 5 delle 6 più grandi città. A destra è giunta invece l’ora di decidere se vivere di sondaggi o di un’idea di futuro.
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Sono terminate ieri le elezioni amministrative con la netta affermazione del centrosinistra che vince in 5 delle 6 più grandi città. A destra è giunta invece l’ora di decidere se vivere di sondaggi o di un’idea di futuro.
È finita come largamente previsto, sulla base dell’andamento del primo turno, del sentiment diffuso nelle città chiamate al ballottaggio e degli stessi sondaggi riservati, che poi così riservati non sono mai. Rientrano nelle previsioni la netta affermazione del centrosinistra, la sonora sconfitta del centrodestra e l’astensionismo a macchia d’olio. Quest’ultimo elemento lo analizziamo nelle pagine interne, qui ci limiteremo a dire che non può né diventare comoda scusa né essere ignorato. Ora, ci preme analizzare le conseguenze del successo messo a segno dall’alleanza di fatto Pd-Movimento Cinque Stelle e la parallela sconfitta subita dal traballante duo Salvini-Meloni (con Forza Italia compiaciuta alla finestra…). Il centrosinistra è tornato ai fasti delle amministrative, in cui per una lunga stagione è stato abituato a dettar legge. Nelle più grandi città ha rifilato un doloroso 5-1 all’avversario. In particolar modo, nelle due che cinque anni fa segnarono l’inizio della valanga pentastellata e annunciarono il disastro elettorale dei democratici nel 2018. Le vittorie di Roma e Torino sono politicamente pesantissime e a destra si farebbe bene a evitare consolanti giustificazioni limitate all’errata scelta dei candidati o, come detto, all’astensione. Elementi importanti che non bastano a spiegare un simile rovescio. Quanto al vero vincitore, il segretario dem Enrico Letta dovrà stare molto attento a non farsi attrarre dalle semplificazioni: il successo non sembra avere un sicuro e diretto riflesso di carattere nazionale. Non solo perché è ciò che certificano i sondaggi, secondo i quali resta un cospicuo vantaggio per l’(ipotetica) alleanza di centrodestra. Soprattutto, perché pensare di vincere alle politiche riproponendo semplicemente una versione 2.0 dell’alleanza a mezza bocca con il M5S targato Conte significherebbe farsi abbagliare dalle vittorie di ieri. A Roma, come nelle altre città dove il centrosinistra ha ribaltato l’esito del 2016, il risultato è stato molto influenzato dalla prova men che mediocre degli amministratori del Movimento Cinque Stelle. Che proprio questo partito possa diventare uno degli asset di sicuro successo del fronte progressista risulterebbe, più che altro, una professione di fede. A destra, bisognerà pur decidere di affrontare i problemi: definire quale idea di coalizione si voglia proporre agli elettori e smetterla di viaggiare sospesi fra posizione filo-Draghi e attrazioni euroscettiche mai del tutto sopite. Queste confusioni sono state pagate nelle urne, non molto meno dei candidati sbagliati. Per concludere, a sinistra ci andremmo cauti con l’idea del trionfo (cit. Letta), se si vorrà costruire una vittoria più grande. A destra è giunta invece l’ora di decidere se vivere di sondaggi o di un’idea di futuro.   di Fulvio Giuliani

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