Lavoro: Hunters Group, assumere una persona sbagliata può costare il 30% in più
Roma, 12 feb. (Adnkronos/Labitalia) – Siamo sicuri che le numerose aziende che dichiarano di non trovare personale stiano cercando nel modo corretto e stiano sfruttando tutti i canali a disposizione? Siamo sicuri che adempiere a tutti gli obblighi di legge in fatto di quote rosa o categorie protette sia sinonimo di inclusività? E, ancora, siamo certi di riuscire a individuare le corrette e reali competenze di ogni candidato? Purtroppo, nella maggior parte dei casi, la risposta a questi quesiti è quasi sempre ‘no’, perché ci sono una serie di bias e pregiudizi che è veramente complicato (se non impossibile) eliminare quando si cerca il talento nelle figure professionali. A sostenerlo è Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato, secondo cui assumere la risorsa sbagliata può essere molto costoso, in termini economici, di tempo e di energie: infatti, commettere un errore di questo genere potrebbe addirittura costare un 30% in più a cui si rischia di dover sommare, ad esempio, il mancato rinnovo di un contratto, la perdita di un cliente o un danno reputazionale.
La D&I non è ancora attualità nella gran parte dei percorsi di selezione odierni, sia nelle piccole che nelle medio-grandi aziende, ed è spesso legata ad azioni di marketing e branding più che alla ricerca del valore nelle persone, come spiega Laura Pino, Key Account Manager di JHunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale qualificato: “Nessuno può dichiararsi immune a quei pregiudizi che potremmo definire inconsci: ci sentiamo più vicini, ad esempio, a coloro che hanno frequentato la nostra stessa università, vivono vicino a noi o hanno il nostro stesso hobby. È una cosa che potremmo considerare normale, ma che in realtà in fase di selezione può portare a commettere gravi errori di valutazione”.
“Per questo motivo, Hunters Group ha elaborato, per la prima volta in Italia, un processo di recruiting che permetta di valutare un candidato focalizzando l’attenzione prettamente su aspetti legati al ruolo e al contesto aziendale, escludendo a priori eventuali bias che possano influenzare l’intero iter. Il processo è stato oggetto di certificazione, attraverso un percorso unico sul territorio nazionale. Si vuole focalizzare l’attenzione, quindi, sull’aspetto più importante e l’unico che dovrebbe contare in ciascun professionista: le competenze”, sottolinea.
Partendo dal blind recruiting, va sviluppato un vero e proprio processo di ricerca e selezione che punti all’empowerment della diversità in azienda, rendendo quest’ultima sostenibile e, perchè no, redditizia. Se già da alcuni anni negli Stati Uniti, e più recentemente anche in Finlandia, alcuni elementi legati alla sfera privata dei candidati sono omessi volontariamente nel cv per lasciare spazio al percorso professionale, all’esperienza maturata e alle competenze acquisite, un ulteriore passo in avanti è rappresentato dalla possibilità di individuare le competenze caratterizzanti del candidato, talvolta sviluppate proprio all’interno di un contesto e di un vissuto lontano da quello del selezionatore coinvolto.
All’inizio può essere fuorviante non vedere, ad esempio, in apertura del curriculum, i classici dati personali, ma rapidamente ci si rende conto di come alcune informazioni, in realtà, non servano e anzi rischiano di creare un pregiudizio (negativo o positivo) inutile ai fini della selezione. Reclutare un candidato basandosi su analisi, competenze e tecnicismi, svincolandosi quindi da fattori e scelte personali, rappresenta un valore aggiunto non solo per la cultura aziendale, ma soprattutto per la retention dei profili nel lungo periodo e nel rendimento del business.
“Per questo motivo – aggiunge Laura Pino – da qualche tempo abbiamo studiato un nuovo processo di selezione che permette all’azienda di imparare a conoscere il candidato secondo un iter prestabilito che accompagni l’azienda nell’analisi di determinati Kpi, relativi all’iter di selezione, alla metodologia e alla scoperta dei bias cognitivi: tutto questo affinché possa misurare, rendicontare e quindi raccontare il proprio miglioramento anche in questo processo”.
L’obiettivo di Hunters Group è l’eliminazione dell’equazione che interpreta il processo di ‘inclusione’ come sinonimo di inserimento in organizzazione di un determinato numero di candidati appartenenti alle ‘categorie non rappresentate’, a favore di un rinnovamento culturale e di processo che porti a un vero e proprio ‘empowerment della diversità’ in azienda.
“Il processo di ricerca e selezione del personale che abbiamo messo a punto – specifica Laura Pino – permetterà di inserire nel bilancio di sostenibilità sociale anche il fatto che i processi di selezione siano compliant alla diversity secondo Iso 30415:2021 e, si sa, quando il processo è compliant, l’inserimento di donne, categorie protette o altre diversità in azienda diviene solo un di cui di un’innovazione molto più forte: l’investimento sulle competenze”.
“Un corretto iter di selezione – conclude Laura Pino – garantisce un ritorno sull’investimento iniziale; al contrario, invece, una selezione errata continuerà a generare perdite. Sostituire un dipendente può costare fino al 50% della sua retribuzione annua lorda tra iter di ricerca e tempi di preavviso. Non dimentichiamo, poi, che risorse inadatte potrebbero mettere a rischio la produttività, compromettere il benessere dei colleghi e, di conseguenza, anche il business. Ed è per questo che sbagliare non è un’opzione”.
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