Duello per New York, Cuomo incalza ma Mamdani rimane avanti di 10 punti
New York, 31 ott. (Adnkronos) – A cinque giorni dal voto, si fa più accanito il duello per la poltrona di sindaco di New York, con Andrew Cuomo che riduce relativamente la distanza da Zohran Mamdani, il candidato democratico che si definisce socialista e sta facendo sognare la sinistra dem, non solo newyorkese.
Secondo l’ultimo poll della Quinnipiac University Poll in vista delle elezioni del 4 novembre, l’ex governatore, che corre da indipendente dopo la cocente sconfitta nelle primarie dall’allora praticamente sconosciuto Mamdani, è al 33%, mentre il 34enne candidato dem è al 43%, con un vantaggio di 10 punti consistente, ma dimezzato rispetto ai 20 punti di un mese fa.
Segue a distanza, con il 14%, il candidato repubblicano Curtis Sliwa, il fondatore del gruppo di vigilantes anti-crimine newyorkese, Guardian Angels, che non sembra dare a ascolto ai ripetuti, pubblici, appelli a ritirarsi da parte di Donald Trump: il presidente la scorsa settimana ha detto che “è meglio avere un democratico che un comunista” alla guida della sua città natale, riferendosi al fatto che senza il repubblicano in corsa Cuomo avrebbe più chance di battere il ‘comunist’ Mamdani. Infine i pollester della Quinnipiac University sottolineano che rimane un 6% di indecisi, con una percentuale più alta rispetto all’ultimo rilevamento, cosa “che suggerisce che c’e’ spazi per dei movimenti nello sprinti finale”.
Gli appelli di Trump erano stati invece ascoltati dal sindaco uscente, Eric Adams, l’ex poliziotto finito al centro di indagine per corruzione che è stata poi archiviata dal dipartimento di Giustizia in cambio della cooperazione da parte del primo cittadino dem alle operazioni anti-migranti, ritiratosi il mese scorso dalla corsa, contribuendo quindi alla risalita di Cuomo nei sondaggi.
Sul non tanto velato sostegno di Trump a Cuomo, Mamdani continua a martellare: “Questa è una campagna per i commessi dei negozi e i proprietari delle bodega, la campagna di Andrew Cuomo è per i miliardari finanziatori di Donald Trump e i loro conglomerati”, ha detto ieri, incontrando i rappresentanti di United Bodegas of America, che riunisce i proprietari dei piccoli negozi, che hanno dato il loro endorsement al candidato dem, dopo aver nei mesi scorsi criticato una delle proposte chiave del suo programma, quello di creare una rete di cinque supermercati gestiti dalla città con prezzi calmierati ed accessibili.
La chiave del successo di Mamdani – nato in Uganda da genitori indiani di fede musulmana, la regista Mira Nair e l’africanista della Columbia Mahmood Mamdani, e diventato cittadino americano nel 2018 – è la promessa di “abbassare il costo della vita per la classe lavoratrice di New York” definita “una città troppo costosa” nel suo programma elettorale che delinea risposte concrete ai problemi di tutti i giorni dei newyorkesi non milionari: casa, spesa, trasporti, bambini.
Oltre alla rete dei supermercati pubblici – “il costo del cibo è fuori controllo per quasi nove newyorkesi su 10” – il programma promette il congelamento degli affitti per gli oltre due milioni di newyorkesi che hanno il “rent stabilized”, una sorta di equo canone, e l’avvio di progetti per l’edilizia a basso costo. Per i trasporti, si promette di eliminare il costo del biglietto degli autobus per i newyorkesi e rendere più veloce ed efficiente il sistema, attualmente “uno dei più lenti del Paesi”. Infine l’assistenza all’infanzia, “che dopo l’affitto è il costo maggiore per i newyorkesi” si legge nel programma in cui si promette un sistema di asili gratuiti per i bambini tra le sei settimane e i 5 anni.
Un piano di pochi punti e allo stesso tempo ambizioso, che, secondo le stime del New York Times costerebbe 7 miliardi all’anno, 6 solo per gli asili pubblici, praticamente più di quanto si stanzia ora per il dipartimento di polizia, 6,3 miliardi. Bisogna ricordare che New York City ha un bilancio enorme, di quasi 116 miliardi di dollari, e quindi Mamdani sostiene che ci sia lo spazio per sostenere le sue priorità.
Soprattutto perché il programma del giovane socialist, come viene definito in America chi ha in realtà posizioni da noi da socialdemocratico, prevede un gettito fiscale aggiuntivo di 9 miliardi di dollari, aumentando di due punti l’aliquota dei contribuenti newyorkesi più ricchi – sopra il milione di dollari – e portando dal 7,5% all’11,5% la corporate tax per imprese e società. L’aumento delle tasse dovrebbe comunque ottenere il sostegno dell’Assemblea legislativa e la leadership dem di New York appare divisa, con la governatrice Kathy Hochul, che ha dato il sostegno a Mamdani, che è contraria all’aumento delle tasse.
Cuomo, che nel 2021 ha lasciato la guida dello stato all’allora sua vice Hochul perché travolto da accuse di molestie sessuali, ha così puntato a raccogliere il sostegno della potente comunità del business newyorkese allarmata dal programma di Mamdani. E ha profetizzato come una vittoria del candidato socialista che l’ha umiliato lo scorso giugno farebbe “scomparire la New York che conosciamo”.
“A parte l’impatto sulla criminalità, il crollo del mercato immobiliare, l’immagine nel resto del Paese e nel mondo, New York City diventa socialista – ha detto a un gruppo di imprenditori – vedremo produttori di ricchezza lasciare la città, aumentare la spesa pubblica, e nella peggiore delle ipotesi una replica della crisi finanziaria degli anni settanta”. Non solo, il democratico che corre da indipendente ha previsto anche con Mamdani alla guida della città Trump cercherà di “prendere il controllo” di New York, provocando “una carneficina”.
La corsa di Mamdani per la guida della principale, e più iconica, metropoli americana appare rivoluzionaria, e per alcuni inquietante, non solo per le posizioni politiche ‘socialiste’ del candidato, ma anche per la sua fede religiosa, che in caso di vittoria farebbero di lui il primo sindaco musulmano di New York. Subito dopo la sua vittoria alle primarie di giugno, Mamdani aveva provocato le proteste e l’allarme della comunità ebraica newyorkese per aver difeso lo slogan, ritenuto antisemita, “globalize the intifada”, globalizzare l’intifada, salvo poi qualche settimana dopo, parlando ad un gruppo di business leader newyorkesi, prendere le distanze dallo slogan. “Mi fa soffrire essere chiamato antisemita”, disse in quell’occasione ai giornalisti.
La questione di Gaza è stata al centro di uno duelli televisivi tra i candidati, con Cuomo che ha accusato Mamdani di rifiutarsi di “denunciare Hamas”, riferendosi ad un’intervista rilasciata a Foxnews in cui il democratico accusava Israele di “genocidio”, mentre avrebbe evitato di rispondere riguardo al disarmo di Hamas.
“Certo che credo che debbano deporre le armi”, ha replicato all’attacco Mamdani, rivendicando di essere stato uno dei primi “a chiedere un cessate il fuoco, che significa che tutte le parti interrompano il fuoco e mettano giù le armi”, ha poi aggiunto. “E chiedo questo non solo per mettere fine al genocidio ma anche per avere un accesso senza ostacoli degli aiuti umanitari, come molti newyorkesi spero che il cessate il fuoco tenga”, ha aggiunto.
Parole denunciate da Cuomo, che sta raccogliendo un crescente sostegno dalla vasta comunità ebraica newyorkese, in termini elettorali e di finanziamenti, come un “messaggio in codice”, che celerebbe il fatto che Mamdani crede che Israele “non abbia il diritto di esistere come uno Stato ebraico”. A questo il candidato dem, che dalla sua ha il sostegno dei gruppi di ebrei newyorkesi, in particolare i giovani che si sono mobilitati contro la guerra a Gaza, ha risposto accusando l’ex governatore di aver agito come “team di difesa” di Benjamin Netanyahu “durante il genocidio”.
Infine, il duello di New York potrà avere un grande significato per il futuro del partito democratico ad un anno dalla vittoria di Trump. Nei giorni scorsi a sostenere il candidato dem, che ha ottenuto solo nei giorni scorsi l’endorsement del leader della minoranza alla Camera, Hakeem Jeffries, ma non di quello del Senato, Chuck Schumer, sono arrivati Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez, il volto storico e quello del futuro della sinistra dem, che vedono nella potenziale vittoria a New York l’inizio di una riscossa contro Trump, con candidati liberal “dalla California al Maine”, come ha detto l’anziano due volte candidato alla Casa Bianca.
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