L’ambizione dell’immortalità ha costi alti, parla il premio Nobel Ramakrishnan ‘
Roma, 28 giu. (Adnkronos Salute) – Nato 72 anni fa a Chidambaram, nel Tamil Nadu, da genitori scienziati, un fratello immunologo anche lui a Cambridge, Venkatraman Ramakrishnan è passato dalla fisica teorica alla biologia, diventando uno dei massimi esperti di ribosomi, i macchinari molecolari che nelle cellule mettono in fila gli aminoacidi seguendo l’ordine dettato dal Dna all’Rna messaggero e così sintetizzano le proteine. In pratica, sono le fabbriche della vita e Ramakrishnan ne ha definito la struttura atomica, componendola come un puzzle e meritandosi per questo il Premio Nobel per la Chimica nel 2009. Ha appena pubblicato un libro sulla longevità (la cui industria fattura 30 miliardi di dollari all’anno) che si intitola semplicemente: Perché moriamo. La sua tesi – in una intervista al settimanale ‘7’ del ‘Corriere della Sera’- è in chiaroscuro: un ulteriore allungamento dell’aspettativa di vita è a portata di mano, ma la sfida della qualità di quella vita così protratta non è ancora risolta. Soprattutto, l’ambizione di immortalità rischia di avere un costo sociale ed economico altissimo.
Nei prossimi giorni Ramakrishnan sarà a Milano per il 48.esimo congresso internazionale della ricerca biochimica e gli abbiamo chiesto di aggiornarci su alcuni aspetti delle sue ricerche che hanno un grande impatto sociale. Quali nuovi risultati scientifici annuncerà alla Bücher Lecture di Milano? “Ho intenzione di parlare dei meccanismi attraverso i quali viene avviata la sintesi delle proteine nelle cellule – risponde lo scienziato – Questo è un processo altamente regolato e controllato. Molti virus agiscono alterandolo e, quando il processo è anomalo, si hanno implicazioni sulle malattie e sull’invecchiamento”.
Cosa dobbiamo ancora scoprire sul funzionamento delle cellule e sui segnali che si scambiano internamente ed esternamente? “C’è – spiega – un’enorme quantità di cose che non sappiamo su come le cellule funzionano non solo al loro interno, per mantenere il loro stato funzionale, ma anche su come comunicano tra loro e cosa succede quando questi processi vanno male”.
La vostra ricerca sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi ha profonde implicazioni anche per comprendere le modalità di azione e gli effetti degli antibiotici. Stanno crescendo le preoccupazioni per la diffusione nel mondo della resistenza agli antibiotici. Alcuni superbatteri molto pericolosi sono insensibili anche a cocktail di antibiotici. Quali sono le azioni più urgenti per arginare il fenomeno? “Dobbiamo agire su più fronti. Il primo riguarda le misure di sanità pubblica per prevenire la diffusione delle malattie e mantenere una buona salute. Il secondo – sottolinea Ramakrishnan – è quello di frenare l’uso improprio degli antibiotici, sia nelle prescrizioni non necessarie agli esseri umani, sia nel loro uso diffuso in agricoltura e allevamento. Infine, abbiamo bisogno di più ricerca per comprendere come i batteri scatenano la malattia e utilizzare tale conoscenza per lo sviluppo di nuovi antibiotici”.
In Italia persiste una forte opposizione contro le biotecnologie, dall’editing genetico sulle piante alla carne coltivata. Come convincere l’opinione pubblica che biochimica e biotecnologie non sono per forza nemiche dell’ambiente? “Gli scienziati devono sottolineare quanto sia migliore la nostra vita oggi rispetto a cento anni fa. Viviamo più a lungo e generalmente più sani grazie ai progressi della scienza e della tecnologia – avverte Ramakrishnan . Gli scienziati sono in prima linea nel rilevare eventuali problemi, quindi dobbiamo comunicare con il pubblico per mantenere la fiducia nella scienza”.
Abbiamo già dimenticato la pandemia. Ma dal suo punto di vista, quali sono le probabilità che accada di nuovo? “Dato il mondo altamente interconnesso in cui viviamo, così come le grandi città densamente popolate, è essenzialmente inevitabile che ci sia un’altra pandemia. Quindi è importante ricordare gli insegnamenti dell’ultima ed essere meglio preparati”. Che una nuova pandemia sia “essenzialmente inevitabile” andrebbe spiegato meglio a politici e opinioni pubbliche. Lei ha scritto che la ricerca dell’immortalità è un miraggio. Alcuni biologi pensano che la vita umana raggiungerà un limite strutturale intorno ai 120 anni al massimo, cosa ne pensa? “Concordo: il limite naturale della nostra specie non è superiore a 120 anni circa – puntualizza – Ciò non significa che non sia teoricamente possibile infrangere quella barriera, solo che sarà estremamente difficile e richiederà importanti progressi nella nostra comprensione dell’invecchiamento e nella capacità di intervenire nel processo di invecchiamento stesso”.
Qual è la sua opinione sulle presunte ricette biochimiche per prolungare la vita, per esempio attraverso trasfusioni di sangue, rallentamento dell’accorciamento dei telomeri, riprogrammazione cellulare? “Credo che molte di queste aree, come la riprogrammazione cellulare o l’identificazione di fattori nel sangue che aiutino ad alleviare i sintomi dell’invecchiamento, siano promettenti. Tuttavia – osserva il premio Nobel – nel settore anti-invecchiamento c’è la tendenza a utilizzare i risultati preliminari e a parlare immediatamente delle prospettive. Credo che sia necessaria molta attenta ricerca per stabilirne innanzitutto la sicurezza e l’efficacia a lungo termine, prima di utilizzare questi metodi per affrontare l’invecchiamento umano”.
Esiste qualcosa di veramente immortale in biologia? Alcune cellule? I geni? “Poiché discendiamo ininterrottamente, da diversi miliardi di anni, dalle cellule viventi attraverso la nostra linea germinale, noi come individui moriamo – spiega – vale a dire che i nostri corpi muoiono, ma il potenziale che permette alla vita stessa di continuare persiste. In questo senso la vita è immortale, anche se l’individuo non lo è”. Se il cancro è dovuto al fatto che la selezione naturale diventa più permissiva dopo l’età riproduttiva e consente l’accumulo di danni genetici con l’andare dell’età, perché i tumori giovanili non mostrano segni di diminuzione? “Il cancro in età precoce è dovuto a vari motivi, tra i quali la propensione genetica, ma anche semplicemente la sfortuna di subire cambiamenti dovuti a cause ambientali. Tuttavia, molti dei nostri processi biologici sono stati selezionati per prevenire il cancro nelle prime fasi di vita e, senza di essi, le nostre possibilità di contrarlo prima di raggiungere l’età adulta sarebbero ancora più elevate”.
In un’intervista alla Cnn, ha affermato che «il 10% più ricco dei percettori di reddito, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, vive più di un decennio in più rispetto al 10% più povero. Se si considera l’intervallo di salute – il numero di anni di vita sana – la disparità è ancora maggiore. Le persone più povere vivono vite più brevi e meno sane». Non crede che questa situazione sia inaccettabile e che dovremmo istituire, prima o poi, un servizio sanitario pubblico globale? “Penso che un servizio sanitario globale sarà molto difficile da realizzare finché avremo nazioni separate. Ma dovremmo mirare a società in cui un’assistenza sanitaria di buona qualità non dipenda dal reddito – risponde – E poi, l’assistenza sanitaria è solo una componente della nostra aspettativa di vita. Ce ne sono molte altre, come l’alimentazione, la criminalità, l’ambiente inadeguato, e così via”.
Quando moriamo smettiamo di respirare e perdiamo conoscenza, ma la maggior parte dei nostri organi sono ancora vivi. Da dove arriva l’input che segna la fine dell’individuo in quel fatidico momento e non in un altro? “Quando un sottosistema critico come il nucleo del cervello collassa in modo irreversibile, questo è ciò che consideriamo morte. In quel momento, l’individuo non può più funzionare come un essere unico, anche se le sue cellule e i suoi interi organi sono temporaneamente ancora vivi”, conclude Ramakrishnan.
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