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Remuzzi: “Per rivoluzionare sanità serve meno politica negli ospedali’”

5 Giugno 2024

Roma, 5 giu. (Adnkronos Salute) – Giuseppe Remuzzi, medico importante, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, accetta di dialogare con ‘Il Foglio’ sul tema della sanità e prova a offrire qualche paletto utile per identificare con semplicità quando la politica si occupa di concretezza, sul tema della sanità, e quando invece si occupa di demagogia. “C’è un problema culturale quando si parla di sanità”, dice Remuzzi, di prospettiva, verrebbe da dire. E il problema, dice, è questo: “Non si può schiacciare il dibattito sulla sanità del futuro concentrandosi solo sulla logica sterile della lagna”. Remuzzi va sul concreto: “La sanità non si migliora con gli slogan, non si migliora limitandosi a chiedere più soldi, non si migliora concentrandosi sull’ossessione delle liste d’attesa. Si migliora provando a declinare un concetto che scotta ma che è quella che chiunque sia interessato a intervenire in questo settore deve avere il coraggio di usare: efficienza”.

E dire efficienza, dice Remuzzi, significa dire delle cose precise. “La prima: non è vero che l’unica sanità efficiente è quella privata e che la pubblica è spacciata. E’ falso. E’ vero invece che per avere una sanità pubblica più efficiente occorre iniziare a gestire la sanità pubblica come se questa fosse un’impresa vera, reale, non la succursale di un gabinetto politico. E per farlo la soluzione vera, rivoluzionaria, è mettere meno politica negli ospedali”. Bum! “Non è un’affermazione retorica – aggiunge Remuzzi – E’ un’affermazione pratica. Bisogna avere il coraggio di dare agli ospedali lo stesso status giuridico che hanno le imprese. Bisogna smetterla di avere direttori sanitari nominati solo perché vicini ai partiti”.

Il passaggio successivo, dice Remuzzi, è eliminare i concorsi, abolirli, “dare la possibilità a ciascun direttore generale di assumere i medici che reputa essere i migliori sulla piazza, scaricare sul direttore generale la responsabilità delle scelte e infine dare agli ospedali finanziamenti in base ai risultati”. Ed è inutile che ci prendiamo in giro, dice Remuzzi: “Oggi dei risultati non interessa quasi a nessuno, o meglio, nessuno li misura, perché i controlli sono formali, non entrano nel merito delle cure e i soldi arrivano a pioggia, senza stabilire dei paletti che possano permettere agli ospedali di puntare verso l’alto, verso l’eccellenza”.

E cosa c’entrano le liste d’attesa? “C’entrano perché l’ossessione generica delle liste d’attesa induce il sistema sanitario ad alimentare prestazioni inutili, a non ragionare sulla base di ciò che serve e di ciò che non serve, e a far aumentare la spesa sanitaria a danno di chi è davvero malato. Un lavoro pubblicato tempo fa su ‘Nature’ ha dimostrato che se si mettono a disposizione più specialisti le liste d’attesa al momento si riducono, poi però il sistema si riorganizza su un nuovo livello di domanda e siamo da capo. Dunque, sì: le liste d’attesa sono importanti. Ma per intervenire su questo terreno occorre, anche qui, fare scelte anti demagogiche, scelte improntate all’efficienza, e occorre governare la domanda stabilendo delle priorità, adeguandosi cioè all’evoluzione delle conoscenze”.

Per riorganizzare il sistema a volte è sufficiente copiare. Guardate cosa succede in Portogallo, per dire. In Portogallo dice Remuzzi vi sono delle case di comunità, dove vi sono medici che lavorano insieme, e che possono prescrivere farmaci, un gruppo di specialisti che aiuta, e sono strutture che mandano persone a casa di chi ha difficoltà a muoversi. “Un anziano non lo mando al pronto soccorso, è l’infermiere che va a casa”. Poi, dice ancora il professor Remuzzi, “accanto a queste strutture, occorrerebbe superare la logica degli ospedali diffusi, che nessun politico riesce a governare perché se chiudi un piccolo ospedale ti ritrovi i manifestanti in piazza, e occorrerebbe lavorare agli ospedali di prossimità, dove gli infermieri possono fare tutto ciò per cui non hanno bisogno necessariamente di un ospedale tradizionale: diagnosi, cure, referti. Così facendo – conclude – si toglierebbe dagli ospedali tradizionali l’ottanta per cento dei pazienti che non ha necessità di stare in quelle strutture e si eviterebbe di intasare anche i pronto soccorso lasciando spazio a chi ha un’urgenza vera: un infarto, un’emorragia cerebrale, la lesione dell’aorta, il sangue nello stomaco. Tengo a ripetere questo numero: l’80% delle persone che oggi si rivolge agli ospedali si potrebbe curare a casa”.

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