Ricerca: Sla, italiani scoprono possibile marcatore spia
Milano, 25 gen. (Adnkronos Salute)() – Depositi di proteine che si formano nei nervi dei malati di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) potrebbero rappresentare una ‘spia’ per riconoscere in anticipo la malattia neurodegenerativa, e forse aprire nuovi orizzonti terapeutici per combatterla. La scoperta porta la firma di un gruppo di ricercatori dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano, che “grazie a un’innovativa biopsia del nervo motorio hanno dimostrato” come “gli accumuli proteici già identificati a livello cerebrale” nei pazienti Sla siano “presenti anche nel sistema nervoso periferico e potrebbero avere un ruolo rilevante nella progressione” della patologia. “Per la prima volta”, spiegano dall’Istituto, il team ha rilevato “accumuli di proteina pTdp-43 all’interno dei nervi motori dei pazienti Sla prima che avvenga la degenerazione assonale tipica della patologia”, suggerendo appunto che “questo evento precoce potrebbe contribuire alla patogenesi della Sla e costituire in futuro un possibile biomarcatore diagnostico”.
La ricerca, pubblicata su ‘Brain’, è coordinata da Nilo Riva, neurologo ricercatore dell’Unità operativa di Neurologia del San Raffaele diretta da Massimo Filippi, professore ordinario di Neurologia all’università Vita-Salute San Raffaele, e da Angelo Quattrini, responsabile dell’Unità di ricerca di Neuropatologia sperimentale. Il lavoro è frutto della collaborazione con altri istituti e ospedali italiani ed è stato possibile grazie al sostegno di Fondazione Arisla, ministero della Salute e Fondazione Giovanni Marazzina.
“Siamo già a conoscenza, grazie ad analisi post mortem, della presenza di depositi della proteina pTdp-43 nel cervello dei pazienti con Sla – afferma Riva, primo autore dello studio – Ma mai questa indagine era stata condotta nei nervi periferici. Sfruttando una particolare tecnica precedentemente sviluppata sempre al San Raffaele, la biopsia del nervo motorio, è stato possibile analizzare gli accumuli di questa proteina in vivo, in pazienti valutati nella fase di inquadramento diagnostico”. Potrebbero quindi essere dei marker della malattia, ritengono gli scienziati. Tuttavia “la biopsia del nervo motorio rimane una tecnica invasiva, seppur minimamente, e per questo – precisa Riva – sarebbe da considerarsi un esame di secondo livello, da eseguire in caso di diagnosi dubbie in centri specializzati come il nostro”.
I ricercatori – riporta una nota – hanno raccolto retrospettivamente i campioni di nervo motorio prelevati da 102 pazienti con Sla in iniziale della malattia. L’accumulo della proteina è stato riscontrato sia negli assoni i (oltre il 98% dei casi), parte strutturale essenziale dei nervi periferici, sia nelle cellule di Schwann (oltre il 70%), quelle che contribuiscono a formare la guaina mielinica intorno agli assoni. “Gli accumuli di pTdp-43 – puntualizza Riva – sono stati trovati anche precedentemente al danno morfologico, ossia prima che avvenisse la degenerazione assonale – Questo significa che, in linea teorica, la presenza di pTdp-43 nel nervo potrebbe essere sfruttata come biomarcatore diagnostico specifico”. Data l’eterogeneità fenotipica della Sla, infatti, la sua diagnosi non è sempre facile e immediata e normalmente avviene solo attraverso l’analisi dei sintomi.
Il nuovo lavoro, rimarcano però gli autori, getta anche nuova luce sui meccanismi biologici alla base della Sla e sulla rilevanza del sistema nervoso periferico per lo sviluppo di future terapie. “Il prossimo passo – anticipa Quattrini, coordinatore e ultimo nome dello studio – consiste nel cercare di comprendere sempre più nel dettaglio, attraverso modelli sperimentali della malattia, il processo di accumulo proteico che avviene negli assoni e nelle cellule di Schwann. Se questi accumuli hanno un ruolo patogenetico, si potrebbe pensare in futuro di bloccare ed eliminare gli accumuli proteici per prevenire così la degenerazione. Ricordiamo infatti che ad oggi non esistono cure risolutive per i pazienti affetti da Sla e che le terapie si limitano ad alleviare alcuni sintomi”.
In una prospettiva più ampia, commenta Filippi, “la nostra ricerca apre nuovi scenari anche per altre malattie neurodegenerative associate all’accumulo di pTdp-43, come la demenza frontotemporale. La presenza di depositi proteici nel sistema nervoso periferico potrebbe costituire, anche in quel caso, un marcatore diagnostico e prognostico innovativo”.
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