Legge sulla caccia compie 30 anni, cosa ne pensano gli italiani
(Adnkronos) – La legge sulla caccia compie 30 anni. A ricordarlo è il Wwf che nel report ‘Caccia e tutela della fauna selvatica. La legge 157/1992 a trent’anni dalla sua approvazione’ analizza gli effetti concreti della sua applicazione. La legge n. 157 dell’11 febbraio 1992, che tutela la fauna selvatica in Italia e disciplina l’attività venatoria, nasce dopo il referendum sull’abolizione della caccia ed è stata spinta dalla necessità di un adeguamento, realizzato solo parzialmente, agli standard internazionali di tutela della biodiversità introdotti in particolare con la direttiva Uccelli del 1979 e con la Convenzione di Berna sulla vita selvatica e l’ambiente naturale recepita in Italia nel 1981.
Con la sua entrata in vigore sono state introdotte importanti innovazioni rispetto alla precedente normativa tra cui la riduzione delle specie cacciabili da 68 a 59 (poi ulteriormente diminuite), la durata della stagione di caccia da circa 8 a 5 mesi, la fine del cosiddetto nomadismo venatorio legando i cacciatori ad uno specifico territorio, la previsione di sanzioni penali contro chi pratica la caccia illegale. Queste innovazioni, però, sottolinea il Wwf, si sono dimostrate, in molti casi, insufficienti e non idonee a perseguire la principale finalità per cui la legge era stata ideata: la tutela della fauna selvatica.
Sin da subito, infatti, spiega il Wwf, le Regioni, prima con provvedimenti amministrativi e poi tentando la strada della normativa regionale, hanno cercato di introdurre varie deroghe alla normativa nazionale. Puntualmente smentite da decine di sentenze dei tribunali amministrativi, oltre che da contestazioni formali aperte dal governo, le regioni sono state più dalla parte dei cacciatori che non da quella della fauna selvatica. Il tutto per altro, aggiunge il Wwf, aggravato dal fatto che in Italia rimane il paradosso per cui, ai sensi dell’articolo 842 del Codice Civile, ai soli cacciatori è permesso di accedere nei fondi privati senza autorizzazione preventiva al fine di esercitare l’attività venatoria.
Secondo il Wwf, dunque, la legge 157/1992 non è idonea a garantire la tutela della fauna selvatica e necessita di modifiche strutturali. La caccia, oggi più che mai, è un anacronismo culturale da superare senza alcun rimpianto, anche alla luce degli impatti determinati dal suo svolgimento. Per questo il Wwf chiede un testo unico che, superando un testo che si occupa solo di uccelli e mammiferi, tuteli la fauna selvatica nel suo complesso attraverso una forte limitazione della pratica venatoria, un rafforzamento dei controlli e un inasprimento delle sanzioni.
Molto importante è inoltre ridefinire una parità di diritto tra i cacciatori e chiunque altro voglia godere pienamente della natura, in questo senso i primi provvedimenti dovrebbero essere l’abolizione dell’art. 842 del codice civile che consente ai soli cacciatori di accedere ai fondi privati, e l’introduzione del divieto di caccia nei giorni festivi e nei fine settimana, per consentire a tutti di frequentare boschi e campagne senza i rischi e il disturbo delle fucilate.
Il sondaggio: il 76% italiani non trova giusto che sia praticata
Il 76% degli italiani non trova giusto che la caccia sia praticata. E’ quanto emerge da un sondaggio che il Wwf ha commissionato a EMG Different. Per la rilevazione, realizzata tra il 4 e il 7 febbraio, la caccia si presenta come argomento fortemente polarizzante.
Il sentimento che prevale tra gli italiani sembra essere nettamente contrario a questa attività, specie in considerazione dei suoi aspetti più crudeli e senza controllo. Il 72% del campione ritiene poi, che l’esercizio della caccia generi problemi alla sicurezza dei cittadini e il 57% la ritiene un rischio per la salute delle persone.
Nel complesso permane una mancata conoscenza di alcuni elementi che afferiscono all’attività venatoria come, ad esempio, il diritto da parte dei cacciatori di entrare nelle proprietà private durante la caccia anche senza il consenso del proprietario (solo il 36% ne era a conoscenza), o la qualificazione della fauna selvatica (anche di quella cacciabile) come patrimonio comune dello Stato e quindi di tutti gli italiani (ben il 44% degli italiani ne è all’oscuro).
Il campione ha espresso una posizione netta sugli aspetti più controversi della regolazione dell’attività venatoria come ad esempio: l’uso di richiami vivi per piccoli uccellini e la caccia consentita per alcune specie in via di estinzione, ma anche l’utilizzo munizioni contenenti il piombo e la caccia esercitata durante il fine settimana.
Questi argomenti ottengono livelli di disapprovazione pari al 90%. Il 43% degli intervistati auspica, inoltre, una riduzione delle attività di caccia con l’applicazione di regole più severe e il 42% giudica la caccia una inutile crudeltà. Gli italiani si dimostrano dubbiosi e sfiduciati circa la capacità dello Stato di garantire un adeguato controllo sull’attività venatoria al fine di prevenire gli illeciti.
Il 58% degli italiani ritiene, infatti, che le sanzioni previste in Italia per contrastare il bracconaggio e la caccia illegale siano insufficienti e addirittura il 71% considera che le forze dell’ordine e la Magistratura non siano sufficientemente a conoscenza degli impatti generati da questi crimini di natura. In conclusione, ben il 76% degli italiani non trova giusto che la caccia sia praticata in Italia e sarebbe d’accordo nel vietarla in tutto il territorio nazionale.
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