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Erik Brann, felice di morire di rock

In Italia “In-a-gadda-da-vida” diventò la sigla della trasmissione “Supersonic”, che introdusse il rock alla Rai.

Erik Brann, felice di morire di rock

In Italia “In-a-gadda-da-vida” diventò la sigla della trasmissione “Supersonic”, che introdusse il rock alla Rai.

Erik Brann, felice di morire di rock

In Italia “In-a-gadda-da-vida” diventò la sigla della trasmissione “Supersonic”, che introdusse il rock alla Rai.
In Italia “In-a-gadda-da-vida” diventò la sigla della trasmissione “Supersonic”, che introdusse il rock alla Rai.
Non c’era mai stato un disco di platino, fino ad allora. Nessun LP che avesse venduto oltre 30 milioni di copie. Nemmeno quelli dei Beatles, che quelle cifre le hanno superate negli anni, visto che vendono ancora oggi. Ma in quell’estate del 1968 l’Atlantic inventò questo nuovo premio per una band sconosciuta, gli Iron Butterfly, che avevano appena pubblicato (il 14 giugno) il loro primo disco per una major. Il lato A del 33 giri ha una sola canzone, la suite “In-a-gadda-da-vida” (In the Garden of Eden), più di 17 minuti. In autunno l’Atlantic ne registra una versione corta per il 45 giri, che però non andrà mai tanto bene: la gente voleva la versione intera. In Italia, una sequenza del brano diventa la sigla della trasmissione “Supersonic”: la colonna sonora che, per quasi vent’anni, ha introdotto lo spazio per la musica rock alla Rai. Il rock degli Iron Butterfly è diverso da quello dei contemporanei ed è basato su un solo riff, come faranno in seguito i Deep Purple e tantissime altre band di successo. Gli Iron Butterfly sono stati però i primi. Anzi, per essere precisi, Erik Brann è stato il primo. Era un violinista di Boston di 17 anni e aveva convinto gli altri a costruire la suite secondo i criteri delle composizioni di Vivaldi. Ma se conoscete il brano, e spero che lo conosciate, la differenza si sente tutta. Erik non poteva suonare dal vivo senza essere accompagnato dai genitori e nelle interviste diceva che aveva accettato, dopo che il chitarrista originario era scappato con una ballerina messicana, perché «il rock mi fa conoscere delle ragazze» e «mi serve per prepararmi alla mia carriera di attore teatrale». Dopo sei anni con gli Iron Butterfly, Erik lascia infatti la band per inseguire il suo sogno. Non funziona. Non riesce nemmeno a concludere gli studi drammatici. Gli trovano un difetto nel cuore e gli dicono che avrà una vita lunga e felice solo se smette di andare sul palco e di bere alcool, se eviterà notti di sesso e persino di giocare troppo con il flipper. È dura, a 27 anni, vivere come un santone indiano e mangiare soltanto cibo per uccellini. Non ha bisogno di lavorare: ancora oggi “In-a-gadda-da vida” genera ogni anno mezzo milione di dollari a testa di diritti musicali. Se si vive in modo tanto spartano, con quella cifra uno può persino mettere qualche spicciolo da parte. Ma Erik si annoia e fa il manager musicale finché si ammala gravemente per una reazione allergica al cibo degli uccellini. Lo rimettono in piedi, ma lui si è stufato e a sua volta rimette in piedi la band. È morto d’infarto dopo una notte di sesso alla fine di un concerto. Aveva solo 53 anni ma era contento così.   di Paolo Fusi

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