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Internet, la tomba di tutte le tv

La libertà per ciascuno di scegliere i contenuti che preferisce, sfuggendo alle programmazioni delle reti, ha fatto crescere piattaforme globali e messo in crisi vecchi schemi.

Internet, la tomba di tutte le tv

La libertà per ciascuno di scegliere i contenuti che preferisce, sfuggendo alle programmazioni delle reti, ha fatto crescere piattaforme globali e messo in crisi vecchi schemi.

Internet, la tomba di tutte le tv

La libertà per ciascuno di scegliere i contenuti che preferisce, sfuggendo alle programmazioni delle reti, ha fatto crescere piattaforme globali e messo in crisi vecchi schemi.

La libertà per ciascuno di scegliere i contenuti che preferisce, sfuggendo alle programmazioni delle reti, ha fatto crescere piattaforme globali e messo in crisi vecchi schemi.

Il rito inizia nel 1976 con la videocassetta in Vhs, uno standard accettato globalmente per la registrazione-riproduzione casalinga di programmi tv e film. Nulla sarà più come prima. Vent’anni dopo si noleggiano-comprano videocassette nella catena planetaria Blockbuster, che però fallisce nel 2013. Non passa dai negozi fisici a quelli virtuali sul web, non capisce che è arrivata Internet, dove film e serie tv viaggiano ‘liquidi’. Per molti il sabato sera diventa un momento canonico. Una dozzina di amici/parenti con divano, birre, pop corn, pizze e 13 puntate di fila della prima stagione di una serie tv, spinta dai social. Ma poi si prosegue domenica con le restanti cinque stagioni. Si chiama binge-viewing/watching, cioè abbuffata-ingozzarsi-perdersi, strafarsi di video on demand (Vod) con un televisore/pc connesso alla Rete (o un tablet/smartphone, per sbronze solitarie). Il rito prende piede. Così i dieci-tredici episodi di una ‘stagione’ vengono rilasciati tutti insieme, per alimentare le sbornie-video davanti allo schermo gigante. Ormai 7 americani su 10 (18-34 anni) le preferiscono all’attesa snervante di un episodio a settimana. La binge-tv è uno dei bulldozer della ‘rottura’ del palinsesto. Spinge le nuove televisioni interattive, che puntano al narrowcasting estremo, cioè a un flusso di contenuti ad hoc per ogni singolo utente, meta assoluta per il marketing. Con l’interattività del web, l’utente sceglie dalle librerie dei distributori-produttori che su Internet bypassano antenne, cavi e satelliti, offrendo il Vod in abbonamento (Svod) o gratis con la pubblicità (Avod). Sono gli Ott, “Over the top”. Sono le tv del XXI secolo, che fecero gridare ai broadcaster tradizionali che «Internet ucciderà la tv». Invece l’ha salvata. Oggi inseguono le esplosive (anche a causa del Covid) audience di Netflix (inizia nel 2007, 210 milioni di abbonati nel luglio 2021), di Amazon (più di 200 milioni), Tencent Video (cinese, 130 milioni), Disney+ (105 milioni) o di  un costruttore di terminali raffinati come Apple. Totale globale: 1,2 miliardi di utenti. Gli Ott sono dentro i televisori (Smart Tv o Connected Tv) e fra i tasti dei telecomandi. Soprattutto sono alla fonte delle pipeline dell’industria dell’immaginario. Sostituiscono la Hollywood di Sunset Boulevard con quella 2.0 diventando, in una manciata d’anni e a suon di centinaia di miliardi di dollari di investimenti (220,2 nel 2020), le nuove major digitali che rubano – con ingaggi triplicati – registi, attori, sceneggiatori e tutti gli artisti della gloriosa macchina di cinema e tv. Gli Ott, in odore di monopolio anglosassone della fiction, rimediano con qualche co-produzione ‘locale’, Italia inclusa. Una piccola azione di contrasto geo-culturale arriva da Viaplay, un servizio Svod che in Danimarca, Svezia e Finlandia è secondo solo a Netflix. Troppi broadcaster hanno mancato la disruption della tv, quando il consumo quotidiano medio mondiale di 167 minuti davanti al televisore è stato sorpassato dai 170 minuti davanti agli schermi del web (previsto da vent’anni, è arrivato nel 2018). Da noi, la Rai ha mancato d’accompagnare l’Italia nell’era digitale, ha pasticciato il modello di business per il web, non è diventata l’Ott del cinema, delle serie e dei documentari italiani. Ma questa è un’altra storia. Leggi anche.   di Edoardo Fleischner

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