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Interno notte

La vicenda del rave party continua a generare strascichi, ma chiedere le dimissioni del ministro Luciana Lamorgese ci espone a un doppio rischio.

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La vicenda del rave party continua a generare strascichi, ma chiedere le dimissioni del ministro Luciana Lamorgese ci espone a un doppio rischio.

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La vicenda del rave party continua a generare strascichi, ma chiedere le dimissioni del ministro Luciana Lamorgese ci espone a un doppio rischio.
La vicenda del rave party continua a generare strascichi, ma chiedere le dimissioni del ministro Luciana Lamorgese ci espone a un doppio rischio.
Un paio di premesse sono d’obbligo: il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, resterà al suo posto. Perché stimata dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, e non meritevole di essere giubilata. Noi stessi non abbiamo certo lesinato critiche per la vicenda del rave party in provincia di Viterbo. Una vergogna, ma comunque risolta solo dall’intervento della stessa Lamorgese. Detto ciò, vale la pena interrogarsi su che cosa sia accaduto nelle ultime 36 ore. Cosa abbia scatenato la violenta accelerazione, con la richiesta esplicita di dimissioni arrivata dal leader della Lega Matteo Salvini e la difesa a stretto giro del leader del Pd Enrico Letta, che a sua volta si ‘vendica’ chiedendo la testa del leghista Durigon. È il richiamo della foresta: quest’anno la ripresa coinciderà con la campagna elettorale per le amministrative e un po’ tutti stanno marcando il territorio. Che si sia alleati in un governo atteso da prove severissime deve apparire un dettaglio a partiti esautorati dalle scelte strategiche dell’esecutivo. Non potendo toccare Draghi (grazie al cielo), ci si accontenta di attaccare qualcuno a lui vicino, tanto per vedere l’effetto che fa. Atteggiamento miope, ma non sorprendente. Soprattutto grave, mentre l’Italia è chiamata ad assumere un ruolo attivo nella delicata gestione dei profughi dall’Afghanistan. Che in un passaggio del genere si pensi di mettere in discussione il titolare degli Interni – oltretutto per puri calcoli di bottega – è sconfortante. Proprio la gestione dei profughi, che è un insieme di delicate vicende politiche e organizzative, è stata individuata da Mario Draghi come possibile spazio di manovra per l’Italia. Con il polverone sulla Lamorgese non mettiamo in gioco solo la nostra possibilità di muoverci al meglio nello scacchiere internazionale, come sempre ricco di opportunità nel pieno di una crisi, ma finiremmo per esporci a un ulteriore pericolo. L’arrivo dei profughi non può essere gestito seguendo regole fantasiose, buone per qualche tweet o titolo a effetto, tipo selezione per genere o amenità varie. Detto questo, il rischio di infiltrazioni c’è e l’Italia dovrà sapersi tutelare con attenzione ed efficienza. C’è da costruire una filiera, in un Paese in condizioni estreme. Chiedere le dimissioni di questo o di quello significa perdere tempo, mentre una maggioranza di governo – per definirsi tale – dovrebbe semplicemente lavorare. Altrimenti non ci si può lamentare che Draghi faccia tutto da solo, affidandosi al suo ristretto gruppo di fedelissimi. Severo, ma giusto.

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