11 settembre, l’America oggi più spaccata e nazionalista
Oggi gli Usa hanno perso unità, guardano all’Asia più che all’Europa e stanno diventando più multietnici, come dimostra l’ascesa di personaggi come Ramaswamy
| Esteri
11 settembre, l’America oggi più spaccata e nazionalista
Oggi gli Usa hanno perso unità, guardano all’Asia più che all’Europa e stanno diventando più multietnici, come dimostra l’ascesa di personaggi come Ramaswamy
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Oggi gli Usa hanno perso unità, guardano all’Asia più che all’Europa e stanno diventando più multietnici, come dimostra l’ascesa di personaggi come Ramaswamy
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Oggi gli Usa hanno perso unità, guardano all’Asia più che all’Europa e stanno diventando più multietnici, come dimostra l’ascesa di personaggi come Ramaswamy
Se gli occhi del mondo sono rivolti a Ground Zero, il cuore dell’America oggi batte con un ritmo diverso da quello dell’11 settembre di 22 anni fa, quando nel 2001 gli attentati alle Torri Gemelle di New York, al Pentagono e il dirottamento in Pennsylvania sconvolsero gli americani e lasciarono un segno profondo anche ben oltre i confini degli States.
Oggi c’è un’America diversa, che guarda meno oltreconfine e molto di più al proprio interno. “Sono state pagate le conseguenze della iper reazione allo shock dell’11 settembre, a quella reazione puramente militare che ha aumentato un processo di dilapidazione delle risorse economiche, ma anche morali dell’America. All’indomani degli attacchi gli Usa si erano imbarcati in una serie di guerre infinite. Nel corso degli anni, però, è diminuita la disponibilità degli americani a usare la forza in modo sproporzionato come avvenuto in Iraq e Afghanistan, e a imbarcarsi in guerre infinite: c’è meno disponibilità popolare a sacrificarsi per l’interesse nazionale”, spiega Federico Petroni, analista di Limes e curatore della rubrica Fiamme americane, un osservatorio sugli Stati Uniti.
Il momento delle celebrazioni e del ricorso unisce gli americani (e non solo): sono molti i memorial che si susseguono in ricordo delle 2977 vittime, alle quali si aggiungono 19 attentatori. A Ground Zero si conferma la commemorazione ufficiale, mentre tutte le chiese di Manhattan celebrano funzioni per i caduti, in particolare a St. Patrick. Eppure la sensazione è che le priorità degli Usa siano cambiate, che il terrorismo spaventi meno rispetto ad altre emergenze.
«Lo spettro del terrorismo e dell’islamismo non c’è più, ma soprattutto non c’è più nemmeno il simulacro di quell’unità nazionale che a quel tempo fu stimolata proprio dal terrorismo. Oggi gli Stati Uniti sono un Paese estremamente diviso dal punto di vista ideologico, etico, generazionale, è un Paese che si può definire in transizione verso nuovi equilibri. Quell’elemento unificante della rabbia e del dolore per il più grave attacco subito sul proprio territorio è quasi completamente svanito. Lo si vede proprio dalla cerimonia di commemorazione per le vittime dell’11 settembre che, pur essendo bipartisan, sullo sfondo mantiene forti divisioni tra repubblicani e democratici», spiega Oliviero Bergamini, responsabile esteri del Tg1, già corrispondente dagli Stati Uniti e autore di numerosi libri sulla storia americana.
I cambiamenti, però, ci sono anche sul fronte della politica estera, con nuovi “avversari” e competitors: «Anche in questo caso è cambiato molto: la Cina ha assunto una proporzione totalmente nuova: è un concorrente aggressivo e un avversario nella battaglia per l’egemonia nel mondo. Lo scenario è comunque complicato» osserva Bergamini, che sottolinea come all’indomani del G20 in India questo paese ha dimostrato la sua importanza: «È in forte ascesa e potrà fare asse con altri Paesi non allineati e meno soggetti all’influenza di Washington rispetto all’indomani dell’11 settembre. Oggi gli Usa hanno una posizione meno forte, autorevole e incondizionata a livello globale, anche se mantengono una leadership ad ampio raggio. Non siamo ancora al multipolarismo, ma ci si avvicina a un bipolarismo o tripolarismo, comunque temperato».
In questo contesto è l’Europa ad aver perso un po’ di terreno: «A unire Usa ed Europa oggi c’è sicuramente il tema della guerra in Ucraina: il presidente statunitense Joe Biden è sicuramente contentato di come i Paesi Ue sostengono la guerra contro Putin, ma sul piano economico e della rilevanza geostrategica l’Europa sta perdendo terreno. Intanto già dai tempi di Obama e forse anche prima, gli Usa guardano con nuova e maggiore attenzione all’Asia. Peraltro l’Ue al suo interno non è compatta, quindi gioca il proprio ruolo, ma è destinata a contare meno. Dal punto di vista economico, invece, il piano di riconversione ecologica sostenuto da Biden si traduce sostanzialmente in protezionismo rispetto a molti prodotti europei e questo crea tensione. Per ora tutto ciò è ancora temperato dalla necessità di fare fronte comune contro la Russia di Putin in Ucraina», sottolinea Bergamini.
In effetti negli Usa è aumentato il nazionalismo, cavalcato anche da figure emergenti come quella di Vivek Ramaswamy, candidato alle primarie repubblicane e considerato più “falco” di Donald Trump. «È un personaggio interessante per la sua storia personale, per la sua origine etnica ed è molto abile con i media, dai quali riceve molta attenzione.
Ma mi sembra non abbia la stessa forza di Donald Trump, nonostante i suoi guai giudiziari e anzi anche grazie a questi, che rafforzano la sua immagine di martire presso i suoi sostenitori. Vedo improbabile che possa ottenere la nomination repubblicana, peraltro sarebbe un candidato più debole di Trump contro Biden. Però è interessante come emergano nuove figure, indice di una trasformazione in atto negli Usa, dove tra pochi anni i bianchi non ispanici diventeranno una minoranza. L’America diventerà ancor più multietnica e aumenteranno i nuovi leader giovani di questa estrazione, sia repubblicani che democratici», conclude Bergamini.
di Eleonora Lorusso
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