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Stachánov

31 agosto, il giorno di Stachánov

Parola di Stalin: «Il 31 agosto sarà la giornata del minatore». In quella giornata del 1935, Aleksej Grigór’evič Stachánov aveva estratto 102 tonnellate di carbone in meno di 6 ore

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31 agosto, il giorno di Stachánov

Parola di Stalin: «Il 31 agosto sarà la giornata del minatore». In quella giornata del 1935, Aleksej Grigór’evič Stachánov aveva estratto 102 tonnellate di carbone in meno di 6 ore

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31 agosto, il giorno di Stachánov

Parola di Stalin: «Il 31 agosto sarà la giornata del minatore». In quella giornata del 1935, Aleksej Grigór’evič Stachánov aveva estratto 102 tonnellate di carbone in meno di 6 ore

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Parola di Stalin: «Il 31 agosto sarà la giornata del minatore». In quella giornata del 1935, Aleksej Grigór’evič Stachánov aveva estratto 102 tonnellate di carbone in meno di 6 ore

Parola di Stalin: «Il 31 agosto sarà la giornata del minatore». In quella giornata del 1935, Aleksej Grigór’evič Stachánov aveva estratto 102 tonnellate di carbone in nemmeno 6 ore (per l’esattezza, in 5 ore e 45 minuti). Un record che gli valse il riconoscimento di Eroe del Lavoro Socialista. Il suo nome fu assunto nel 1978 da Kadievka, cittadina ucraina che dall’aprile 2014 fa parte della cosiddetta Repubblica Popolare di Lugansk e che nel 2016 è tornata al nome originario. Decomunistizzare o denazificare (a seconda degli orientamenti) le repubbliche del Donbas significa coinvolgere anche la toponomastica. Per decenni il nome di Stachánov ha inorgoglito i russi al pari di quello di Gagarin. Ma Stachánov non era un astronauta: era un minatore. E il suo nome porta al mondo del lavoro e contemporaneamente alla propaganda, come dimostra appunto l’accennata diatriba nominalistica (accennata perché ben più complicata).

A fare di Stachánov una stella del firmamento comunista fu quella sua sciagurata idea da record. Era il 1935 e l’Urss era sotto il totale dominio di Stalin che, al pari di qualsiasi altro dittatore, riteneva prioritario il ruolo della propaganda. Il regime esaltò quell’oscuro operaio per aver introdotto «una innovativa quanto enormemente produttiva metodologia estrattiva», additandolo come esempio di operaio comunista. Un esempio che avrebbero dovuto seguire tutti gli operai sovietici. La conseguenza fu un peggioramento significativo delle condizioni di lavoro. Sul piano industriale lo stachanovismo aumentò esponenzialmente la produttività, sfornando eccellenze ingegneristiche come la metropolitana di Mosca con le sue oltre 250 stazioni, 44 delle quali considerate patrimonio culturale della Russia. Chiamata “Palazzo del Popolo” e inaugurata proprio nel 1935 del record di Stachánov, quella metropolitana è un autentico museo sotterraneo. Se si tratta di un’opera che non ha pari al mondo sotto più profili, è però anche la dimostrazione plastica dell’arretramento delle condizioni di lavoro degli operai dell’epoca, per i quali l’aumento esponenziale della produttività si tradusse in azzeramento di ogni rivendicazione, anche le più elementari, quali un salario equo rispetto al lavoro prodotto, ferie, malattie retribuite, turni di lavoro.

Lo stachanovismo introdusse anche un elemento oltremodo pericoloso per i lavoratori: la competizione. L’ambizione a primeggiare, ad aumentare gli standard delle prestazioni e lo zelo lavorativo fino allo sfinimento rese più efficace il processo di produzione ma aumentò anche gli standard obbligatori, a discapito dei diritti più elementari. In buona sostanza, lo stachanovismo faceva il bene del governo russo ma non quello dell’operaio russo.

L’Urss stalinista fu un punto di riferimento inalienabile per ogni comunista – italiani in primis – anche sul piano del lavoro e delle conquiste produttive di quel tipo di società. Un modello che trovava sintesi esemplare ed esaustiva nella locuzione «Addavenì baffone!». Curiosamente, ai comunisti sfuggiva però che lo stachanovismo contravveniva lo stesso marxismo, laddove Marx sosteneva che «la liberazione dell’uomo dall’asservimento al lavoro» dovesse passare per «la cancellazione di ogni tipo di sfruttamento», indicando la via giusta nella «autorealizzazione».

di Pino Casamassima

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