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50 anni fa l’impeachment di Nixon per lo scandalo Watergate

Sono passati cinquant’anni dallo scandalo Watergate del presidente americano Richard Nixon: un momento buio che risuona oggi come un monito

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50 anni fa l’impeachment di Nixon per lo scandalo Watergate

Sono passati cinquant’anni dallo scandalo Watergate del presidente americano Richard Nixon: un momento buio che risuona oggi come un monito

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50 anni fa l’impeachment di Nixon per lo scandalo Watergate

Sono passati cinquant’anni dallo scandalo Watergate del presidente americano Richard Nixon: un momento buio che risuona oggi come un monito

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Sono passati cinquant’anni dallo scandalo Watergate del presidente americano Richard Nixon: un momento buio che risuona oggi come un monito

Il 27 luglio 1974 a Washington è in corso la riunione della Commissione giudicante per la Camera dei rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti. L’obiettivo dell’incontro è deliberare in merito a una questione che da due anni sta minando le basi della democrazia americana. Per raccontarla dobbiamo però cambiare ambientazione e scenario. E fare un salto indietro al 17 giugno 1972.

Frank Willis è una guardia di sicurezza nel complesso di uffici del Watergate Hotel di Washington. Durante il consueto giro di perlustrazione, nota un pezzo di nastro adesivo sulla porta fra il pozzo delle scale e il parcheggio sotterraneo, che sembra messo lì apposta per mantenere socchiuso il varco. Lo rimuove, prosegue la sua ronda, ma quando ripassa il pezzo di nastro è ancora lì. A quel punto Willis capisce che c’è qualcosa che non va e chiama la polizia. Quando gli agenti arrivano, sorprendono cinque uomini entrati di nascosto nel quartier generale del Comitato nazionale che organizza la campagna e la raccolta fondi del Partito democratico, situato al sesto piano dell’hotel. Quel pezzo di nastro adesivo sarà l’elemento scatenante di uno dei momenti chiave della storia americana e che prenderà il nome proprio da quell’albergo: Watergate.

Parte subito un’indagine dell’Fbi, il presidente Richard Nixon smentisce il proprio coinvolgimento, ma intanto due giornalisti del “The Washington Post” (Carl Bernstein e Bob Woodward) iniziano a investigare. Scoprono numerosi collegamenti fra l’irruzione al Watergate e i membri del Comitato per la rielezione di Nixon. E pubblicano ogni giorno scottanti rivelazioni sugli sviluppi delle indagini federali, riuscendo a dimostrare il giro di denaro che era transitato dai fondi per la rielezione di Nixon verso i responsabili dell’irruzione al Watergate.

Nonostante il terremoto politico generato dalla vicenda, il 7 novembre 1972 Richard Nixon stravince le elezioni e viene riconfermato alla presidenza. La svolta arriva il 3 giugno dell’anno successivo, quando l’ex consigliere della Casa Bianca John Dean confessa i tentativi di insabbiamento delle prove operati da Nixon in persona. Il castello di menzogne messo su dal presidente viene giù in un colpo solo e l’opinione pubblica e la stampa (“The Washington Post” in testa) iniziano a chiedere l’impeachment del primo cittadino americano.

Ed ecco il motivo che ci porta a quella riunione del 27 luglio, a cui facevamo cenno all’inizio. Dopo lunghe ore di consultazioni, la Commissione presieduta da Peter Wallace Rodino Jr. comunica la propria decisione: il presidente viene ritenuto responsabile di ostacolo alla giustizia per aver cercato di occultare le prove del proprio coinvolgimento nello scandalo. L’8 agosto dello stesso anno Nixon è costretto a dimettersi, passando le consegne a Gerald Ford.

È il momento più buio nella storia della democrazia statunitense nel ventesimo secolo. La presidenza Nixon – ricordata per un uso spregiudicato dell’autorità, per alcune discutibili decisioni e per il costante ricorso allo spionaggio sulle questioni estere – rimarrà una delle più controverse.

Negli Stati Uniti di oggi, impegnati in una complessa campagna per la corsa alla Casa Bianca fra attentati, rinunce e nuove candidature, l’eco di quei fatti di mezzo secolo fa continua a risuonare come un monito. Per rammentare che l’esercizio del potere non può mai divenire una giustificazione per il superamento dei confini morali. Un principio che molti, a ogni latitudine, continuano purtroppo a ignorare.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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