Armigeri
Fosse stato per la Casa Bianca, non si sarebbe trattato di una pace, bensì della disfatta degli invasi e della vittoria di un invasore che ci provava – in quel momento – da tre anni
Armigeri
Fosse stato per la Casa Bianca, non si sarebbe trattato di una pace, bensì della disfatta degli invasi e della vittoria di un invasore che ci provava – in quel momento – da tre anni
Armigeri
Fosse stato per la Casa Bianca, non si sarebbe trattato di una pace, bensì della disfatta degli invasi e della vittoria di un invasore che ci provava – in quel momento – da tre anni
Fosse stato per la Casa Bianca la guerra in Ucraina si sarebbe conclusa già nel febbraio scorso, realizzando così la promessa elettorale del presidente appena insediatosi, secondo cui ci sarebbe riuscito in appena un giorno. Solo che non si sarebbe trattato di una pace, bensì della disfatta degli invasi e della vittoria di un invasore che ci provava – in quel momento – da tre anni, non ci riusciva e alla fine poteva prevalere perché chi si era schierato al fianco degli aggrediti decideva di ritirarsi e offrirli come dono sacrificale all’aggressore.
Le cose sono andate diversamente e non ha torto il ministro degli Esteri russo a darne la colpa a noi europei, che non tradimmo. Solo che noi lo consideriamo un merito e un impegno anche per il futuro, tanto che il governo italiano ha varato ieri un ulteriore decreto per gli aiuti all’Ucraina, fra i quali anche le necessarie armi.
Siamo stati noi europei i primi a prendere l’iniziativa diplomatica, poi c’è stato il tentativo della Turchia, ma Putin non ha mai negoziato. E ancora adesso prima finge con Trump e poi blocca ogni negoziato. Nel frattempo siamo noi europei – con anche il Regno Unito – ad aver fatto da armigeri degli ucraini, aiutandoli a non soccombere e lasciare che con loro fossero sconfitti il diritto internazionale e ogni speranza di conservare la pace in Europa. La grande differenza con i ‘dialoghi’ intessuti da Trump con Putin consiste nel fatto che i secondi non puntano alla pace nel diritto ma all’affermazione del preteso più forte, che si è dimostrato non essere affatto il più forte.
Del nostro ruolo sono consapevoli a Mosca come a Washington. E lo detestano. Se ne è molto meno consapevoli dalle nostre parti, dove va di moda partire dall’affermazione che si è irrilevanti. Il che discende dal fatto che all’europeismo molti sono giunti di risulta (per il crollo dei loro miti passati) e ciò li spinge a vedere quel che ancora non c’è dimenticando d’essere la causa di quella mancanza: fino al crollo sovietico a battersi contro l’europeismo fu la sinistra comunista; poi sostituita dalla destra sovranista. Va riconosciuto al Cremlino l’aver accudito prima gli uni e poi gli altri, senza discriminazioni e distinzioni fra i subordinati.
Posto che anche in Svizzera si pongono ora il problema della difesa – abbandonando la retorica del coltellino multifunzione e ragionando di copertura dei cieli e sicurezza dei dati – chi crede che la pace non consista nell’arrendersi, ma nel rendere impossibile o molto costoso l’essere attaccati, sa che c’è una sola strada percorribile: l’integrazione europea. Che non significa abbandonare la Nato, ma ragionare sapendo che la sua componente più potente (gli Usa) ha già fatto presente che potrebbe abbandonare gli europei. Come avrebbe volentieri fatto già dal febbraio scorso.
Difesa europea significa politica estera europea, con industria europea. E la seconda non si realizza senza mercato dei capitali europei e spazio unico bancario. Nessuno riesce ad argomentare seriamente contro queste evidenze, ma molti non riescono a ragionarne senza entrare in contraddizione con sé stessi.
Chi s’è prodotto nell’europeismo retoricamente celebrativo oggi vede che un passo storico può essere compiuto nella difesa, ma è ancora prigioniero di insipidi pacifismi e disarmi. Chi s’è prodotto nell’esaltazione della sovranità vede bene che non può esistere senza capacità autonoma di difesa, ma è ancora prigioniero di mosci nazionalismi che la rendono impossibile.
Taluni lamentano che l’Ue non usi il linguaggio a bocca storta di Trump e a lingua morta di Putin, ma la forza non si misura con arroganza e minacce. Piuttosto le forze politiche europee – di destra e di sinistra, sapendo di dover costruire coalizioni – si chiedano se intendono affondare perché incapaci di mollare le zavorre del passato o vogliono provare a lasciare il segno nelle nuove e necessarie costruzioni, divenendo capaci di raccogliere il consenso per qualche cosa e non soltanto, sterilmente, contro qualcuno.
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