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Attivista araba-israeliana Dema Taya:“Spero che tutti gli Stati arabi possano avere uno Stato democratico come quello in Israele”

Smentita la retorica del regime di apartheid. Secondo un sondaggio d’opinione il 93% dei palestinesi a Gerusalemme preferisce vivere in Israele.
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Attivista araba-israeliana Dema Taya:“Spero che tutti gli Stati arabi possano avere uno Stato democratico come quello in Israele”

Smentita la retorica del regime di apartheid. Secondo un sondaggio d’opinione il 93% dei palestinesi a Gerusalemme preferisce vivere in Israele.
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Attivista araba-israeliana Dema Taya:“Spero che tutti gli Stati arabi possano avere uno Stato democratico come quello in Israele”

Smentita la retorica del regime di apartheid. Secondo un sondaggio d’opinione il 93% dei palestinesi a Gerusalemme preferisce vivere in Israele.
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Smentita la retorica del regime di apartheid. Secondo un sondaggio d’opinione il 93% dei palestinesi a Gerusalemme preferisce vivere in Israele.
Gerusalemme – Il sito palestinese “Shfa News” ha reso noto che la maggior parte degli arabi residenti a Gerusalemme preferisce vivere in Israele piuttosto che in uno Stato palestinese. Lunedì scorso ha infatti pubblicato un sondaggio d’opinione effettuato presso un campione di 1.200 palestinesi a Gerusalemme in possesso di carta d’identità israeliana. Il suo risultato è stato abbastanza sorprendente: il 93% degli intervistati ha detto di volere continuare a vivere in Israele e di preferire che Gerusalemme continui a essere governata dallo Stato ebraico. Il restante 7% vuole invece che Gerusalemme sia trasferita sotto l’Autorità palestinese. Fra questi ultimi, però, la maggior parte non intende comunque rinunciare ai propri documenti d’identità israeliani (che permettono di accedere al servizio sanitario) e solo 5 preferirebbero avere la carta d’identità dell’Autorità palestinese. Il giornalista arabo-israeliano Yoseph Haddad, nato in una famiglia cristiana ad Haifa e conosciuto per le sue posizioni anti Hamas, ha subito ripreso la notizia sui suoi social media, commentando con sarcasmo: «È incredibile come la gente preferisca continuare a vivere in un regime di apartheid». Un concetto che tempo fa era stato espresso con efficacia dall’attivista araba-israeliana di fede musulmana Dema Taya. Partecipando a una trasmissione televisiva, si era così rivolta al conduttore palestinese: «No! Israele non è uno Stato di apartheid e chiunque pensi questo si dovrebbe vergognare. Tu vivi in questo Paese e godi dei pieni benefici della cittadinanza israeliana. Sei libero di lavorare, studiare, esprimere te stesso e fare qualsiasi cosa tu desideri. Puoi educare le generazioni future in uno Stato che ti rispetta. Guarda la Sira, l’Iraq, l’Egitto e il resto del mondo arabo. Che cosa hanno fatto per il loro popolo?». Taya aveva poi aggiunto: «Israele è uno Stato democratico, come sancito nella sua dichiarazione d’indipendenza, che ha al suo interno varie minoranze, come i musulmani, i drusi, ecc. Che cosa è uno Stato democratico? È uno Stato che rispetta tutti i suoi cittadini, dando loro libertà di culto, diritto allo studio, libertà di eleggere ed essere eletti, di diventare giudici, avvocati o un membro della Knesset. È uno Stato che difende le libertà individuali. Spero che tutti gli Stati arabi possano avere uno Stato democratico come quello in Israele». I media internazionali preferiscono sostenere la retorica che dipinge Israele come uno Stato di apartheid, come se fosse il Sudafrica durante la segregazione razziale. Niente di più falso. Negli ospedali di Gerusalemme operano migliaia di medici arabi mentre i farmacisti in centro città sono quasi tutti palestinesi. Gli chef più rinomati nei ristoranti stellati sono inoltre spesso palestinesi. Lo stesso Sami Tamimi, uno degli cuochi più apprezzati al mondo – attualmente lavora a Londra con l’israeliano Yotam Ottolenghi (insieme hanno scritto il best seller di cucina “Jerusalem”) – era stato executive chef del ristorante “Lilith” a Tel Aviv. Israele offre molte più opportunità lavorative e di studio ai palestinesi di quanto possa darne l’Autorità palestinese, che ormai ha perso ogni credibilità in Cisgiordania a causa della corruzione, o di Hamas, che non permette la libertà di espressione. Non è infatti un caso che, lo scorso ottobre, migliaia di palestinesi si siano accalcati davanti alle Camere di commercio di Gaza per ottenere l’ambito permesso di lavoro nella tanto odiata quanto amata Israele.   di Anna Mahjar Barducci

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