Biden non è il colpevole
Joe Biden, straordinario professionista della politica con sessant’anni di carriera alle spalle, rappresenta tutto ciò che possa esserci di occidentale in politica
| Esteri
Biden non è il colpevole
Joe Biden, straordinario professionista della politica con sessant’anni di carriera alle spalle, rappresenta tutto ciò che possa esserci di occidentale in politica
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Biden non è il colpevole
Joe Biden, straordinario professionista della politica con sessant’anni di carriera alle spalle, rappresenta tutto ciò che possa esserci di occidentale in politica
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Joe Biden, straordinario professionista della politica con sessant’anni di carriera alle spalle, rappresenta tutto ciò che possa esserci di occidentale in politica
Il disordine mondiale cresce, spinto da due conflitti dalle cause molto diverse fra di loro e uniti da un solo elemento: l’odio senza sconti per l’Occidente, i suoi valori e anche i suoi leader. In Ucraina e in Medio Oriente si giocano due partite in grado non soltanto di destabilizzare l’ordine mondiale ma di stressare al limite la capacità degli Stati Uniti d’America di gestire e soprattutto garantire quella che fu confusamente definita la “pax americana”. Cioè il delicato sistema di equilibri incentrato sugli Usa e il loro ruolo di unica superpotenza realmente globale.
Il capo della Casa Bianca Joe Biden ha oggettivamente inanellato una serie di mosse che anche il più severo dei suoi critici non può far finta di non vedere, avendo garantito sin dal primo giorno dell’invasione russa in Ucraina appoggio pieno e incondizionato a Kiev e puntellando in ogni modo possibile Israele, dopo lo shock storico dell’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Nei limiti di ciò che è consentito all’uomo più potente della Terra, ma pur sempre leader di uno Stato democratico (oltretutto in piena campagna elettorale per le presidenziali 2024), chiamato ogni giorno a fare i conti con la pressione della pubblica opinione, delle opposizioni e della stessa maggioranza di governo. Un elemento che viene dato per scontato, al punto da non essere considerato nelle sue conseguenze. Così, nonostante l’oggettivo attivismo e i risultati raggiunti, Joe Biden è inseguito non solo dalle ormai consuete critiche legate alla politica interna e alla sua stessa età (nonché al passo malfermo, agli inciampi fisici e verbali) ma anche da un’ingenerosa bassa considerazione della gestione in politica estera.
L’offensiva ucraina s’impantana nei campi minati distesi per chilometri e chilometri quadrati dall’esercito russo nelle aree occupate fra febbraio e marzo del 2022 e le conseguenze investono direttamente la Casa Bianca, manco l’attacco l’avesse condotto Biden. La ‘stanchezza’, resa celebre dello scherzo telefonico subìto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, arriva a lambire il Congresso. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu mostra di non avere una strategia per il dopoguerra, limitandosi all’opzione strettamente militare della distruzione fisica e materiale di Hamas, su cui non c’è un governo occidentale che abbia qualcosa da obiettare, ma a scontare la mancanza di visione è ancora una volta il vecchio Joe. Parafulmine buono evidentemente per ogni stagione.
Azzardiamo una spiegazione: Joe Biden, straordinario professionista della politica con sessant’anni di carriera alle spalle, prodotto purissimo dell’establishment democratico statunitense, rappresenta – oseremmo dire, incarna – tutto ciò che possa esserci di occidentale in politica. Non esita a schierare due superportaerei al largo delle coste libanesi per far capire all’Iran che non è proprio il caso di scherzare, ma nello stesso tempo invia il suo principale collaboratore – il segretario di Stato Blinken – in faticosissimi tour mediorientali alla caccia di risultati diplomatici di incredibile complessità. Sopporta le tattiche levantine del sultano turco Erdoğan, facendo finta di dimenticarsi che si tratti del leader di uno Stato della Nato. Cerca di coinvolgere l’enigmatico Qatar, Paese che con noi vuole fare affari quanto più possibile ma non disdegna di finanziare proprio Hamas. Circostanza ben nota allo stesso Netanyahu, convinto sino al 6 ottobre di poter comprare un po’ di tranquillità con quei denari qatarini. Fa tutto questo, ma tutto ciò che raccoglie è una diffidenza sempre più diffusa in ‘casa’.
È la solita storia dell’Occidente-Tafazzi: messo nel mirino dai peggiori fondamentalisti della Terra, si raggomitola su sé stesso e cerca in tutti modi di capire quali siano le sue colpe e perché sotto sotto gli stessi fondamentalisti un po’ di ragione ce l’abbiano. Ecco, non ne hanno proprio nessuna di ragione: da Putin (che è un fondamentalista politico, nel suo odio per l’Occidente) ad Hamas. E il colpevole non è Biden.
di Fulvio Giuliani
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