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Bombe e bond

Nella nostre Unione europea, bombe e bond camminano insieme: uniti nella unanime condanna alla criminale aggressione russa

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Bombe e bond

Nella nostre Unione europea, bombe e bond camminano insieme: uniti nella unanime condanna alla criminale aggressione russa

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Nella nostre Unione europea, bombe e bond camminano insieme: uniti nella unanime condanna alla criminale aggressione russa

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Nella nostre Unione europea, bombe e bond camminano insieme: uniti nella unanime condanna alla criminale aggressione russa

Bombe e bond camminano assieme, nella nostra Unione europea. I bond, a loro volta, diventano una bomba capace di fare cascare molti muri che ostacolano il cammino dell’integrazione europea. Al di là delle parole e della propaganda, ne sono tutti consapevoli, anche se la consapevolezza non è in sé una soluzione dei problemi da affrontare.

Anche l’ultimo Consiglio europeo – il consesso in cui si ritrovano i governanti dei 27 Paesi Ue – ha ribadito quanto si afferma fin dal febbraio del 2022: la condanna della criminale aggressione russa e il sostegno all’Ucraina. Ogni tentativo di divisione è fallito. Blandizie e minacce di Putin sono state respinte al mittente. Lo stesso Orbán, che ci tiene a mostrarsi il più servile con il Cremlino, è così ben riuscito in questo suo intento da essere isolato e sotto procedura. Due anni fa questo scenario non era affatto scontato e l’averlo realizzato è un indubbio successo politico europeo. Ma non basta.

Sono (i capi di governo) e siamo (noi cittadini) consapevoli che si debba realizzare velocemente una integrazione difensiva europea. Non si tratta di coordinare le forze, ma di fonderle. Quasi tutti i Paesi dell’Ue, comunque i più grandi e armati, sono già parte della Nato e nell’Alleanza Atlantica condividono il coordinamento delle forze difensive. Il coordinamento c’è già, come anche il comando unico. Lavorare a una forza difensiva europea non è quindi sommare le forze armate di ciascuno, ma crearne una unica. Il che comporta quello che c’è già – ovvero una politica estera comune – ma in quel modo ci si impegna a che sia permanente. È moltissimo, ma ancora non basta.

Daniel Gros, economista tedesco di fama ed esperienza globale, ha sottolineato ieri su “La Stampa” quel che qui ripetiamo da tempo: la difesa comune impone industria comune e campioni produttivi europei, non nazionali. E questo porta a scelte che favoriranno la crescita dimensionale e la concentrazione produttiva, escludendo che si prosegua con scelte, gare e ordinativi fatti su base nazionale. Vale a dire che quel tavolo del Consiglio europeo è meglio resti bandito in permanenza, perché si tratta di scelte industriali non solo importanti ma capaci di scatenare egoismi e di esporre chi governa agli attacchi di chi si oppone (anche dentro il governo, come capita in Italia).

Se, per capirsi, un cantiere navale raddoppia le sue commesse gli effetti (positivi) si vedono subito dopo, mentre se una fabbrica deve cedere spazio al più bravo concorrente che si trova altrove gli effetti (negativi) si vedono subito. E subito qualcuno comincerà a specularci, in barba all’interesse nazionale complessivo.

Poi c’è il capitolo quattrini. Come in quello industriale, abbiamo tutti da guadagnarci. Già oggi come europei spendiamo per la difesa più della Russia ma non con altrettanta efficacia, essendo una spesa frammentata in 27 pezzi. Quindi prendiamo i soldi di ciascuno e li mettiamo in una cassa comune? Non facile e, ancora una volta, non basta. Perché la gran parte di quella spesa è assorbita dai costi fissi, è spesa corrente, mentre serve nuova spesa per investimenti. Ci sono margini nei bilanci di ciascuno Stato, ma prenderli da lì innescherebbe subito la richiesta di non contabilizzarli nel Patto di stabilità che, tradotto facile, significa nuovo debito nazionale. Ma essendo per uno scopo comune sarà migliore il debito comune. Logico ma anche egoistico, detto da un italiano: perché il nostro debito costa assai più di quello europeo e quello tedesco costa meno.

Quindi, morale della storia, abbiamo l’occasione di usare la difesa per migliorare la finanza, creando campioni industriali europei in Italia e rinunciando alle piccole rendite della spesa nazionale. Il che comporta un salto integrativo enorme, sicché questo sarebbe ricordato come il governo più europeista dopo il varo dell’euro. Guarda un po’ gli scherzi della Storia.

Ma il tempo è ora, perché dopo avere fermato Putin sarà un’altra storia e dopo non averlo fermato saremmo in guerra.

di Davide Giacalone

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