Nessun senso di rivalsa, figurarsi. Però, come non ripensare a quelle settimane occupate manu militari dai volenterosi putinisti in servizio permanente effettivo, impegnati ogni sera in tv a negare l’evidenza dei massacri di Bucha, Irpin e altre località.
Come non ricordare le affannose e raccapriccianti spiegazioni, dai comodi divani dei talk, su come l’orrore di Bucha non potesse aver avuto luogo. Eppure sin dai primissimi momenti le notizie erano state sostenute da prove documentali che avrebbero dovuto come minimo indurre alla prudenza anche gli ultras del dittatore. Invece nulla, mentre oggi è il “New York Times” – che ad aprile portò alla luce i fatti (il giornale più famoso al mondo non è infallibile, ma di sicuro degno di maggior fiducia rispetto agli inascoltabili corifei del Cremlino) – ad aver ricostruito nei dettagli le ultime ore di 36 dei 400 morti del carnaio di Bucha. Nomi, cognomi, storie, vicende, come e perché di omicidi incredibilmente crudeli nella loro perfida banalità.
Sappiamo quale fu una delle unità russe sospettata dei crimini più feroci: il 234esimo reggimento paracadutisti di stanza a Pskov, nella Russia occidentale. Rubavano sistematicamente i cellulari ai civili brutalizzati e uccisi, per chiamare casa. Rintracciando quelle telefonate, ascoltando le registrazioni, emerge la sistematica aggressione contro i civili. In particolare chi non evacuò per portare con sé genitori anziani o malati.
Ci sarebbe tempo per pentirsi e chiedere scusa.
di Fulvio Giuliani
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