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Il giallo dei cavi tagliati nel Mar Rosso

L’Occidente e il governo Huthi dell’Ovest dello Yemen si stanno scambiando accuse reciproche sui danni subiti dai cavi subacquei nel Mar Rosso

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Il giallo dei cavi tagliati nel Mar Rosso

L’Occidente e il governo Huthi dell’Ovest dello Yemen si stanno scambiando accuse reciproche sui danni subiti dai cavi subacquei nel Mar Rosso

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Il giallo dei cavi tagliati nel Mar Rosso

L’Occidente e il governo Huthi dell’Ovest dello Yemen si stanno scambiando accuse reciproche sui danni subiti dai cavi subacquei nel Mar Rosso

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L’Occidente e il governo Huthi dell’Ovest dello Yemen si stanno scambiando accuse reciproche sui danni subiti dai cavi subacquei nel Mar Rosso

L’Occidente e il governo Huthi dell’Ovest dello Yemen si stanno scambiando accuse reciproche sui danni subiti dai cavi subacquei situati alla Porta del Lamento, lo stretto marittimo che connette il Mar Rosso al Golfo di Aden e quindi all’Oceano Pacifico. Secondo la compagnia hongkonghese HGC Global Communications che gestisce tali infrastrutture, ben 4 degli oltre 15 collegamenti passanti per questo stretto sono stati recisi, causando un calo del 25% della portata complessiva. Contando che sul fondale del Mar Rosso passano gli otto decimi del traffico totale asiatico verso di noi, si è certamente trattato di un evento dalla portata macroscopica.

Nello specifico i cavi danneggiati risultano essere il Seacom, che con i suoi 1,5 terabit per secondo di capacità collega l’Africa orientale alla Francia e all’India; il lunghissimo Asia-Africa-Europe 1, da 25mila chilometri e 40 terabit per secondo, che partendo da Hong Kong tocca tutta l’Asia meridionale prima di arrivare in Europa; il Tgn-Eurasia, che da Marsiglia passa per l’Egitto e l’Arabia Saudita fino a Mumbai; infine l’Europe-India Gateway (Eig), che con i suoi 15mila chilometri connette dodici Paesi in tre Continenti all’impressionante velocità di più di 100,800 terabit all’ora. Un incidente che dimostra quanto il mondo moderno sia appeso letteralmente a fili sottilissimi.

Nonostante l’aggettivo wireless (letteralmente: senza fili) sia molto usato addirittura come sinonimo di innovazione, Internet è infatti ancora formata da una rete fisica di cavi in fibra ottica lunga più di 4 miliardi di chilometri: quasi la distanza fra la Terra e Nettuno, il pianeta gassoso ai limiti del nostro sistema solare. Già nel 2006 la contraddizione di queste nuove tecnologie (futuristiche ma cablate) non era sfuggita nemmeno al letterato Umberto Eco, che trattò il tema nei saggi raccolti in “A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico”. Si è trattato però di una scelta tecnica assennata. Sia la famosa rete satellitare Starlink di Elon Musk (dislocata in orbita bassa a meno di 600 chilometri di altitudine) sia quelle governative in orbita alta (oltre 35mila chilometri sulle nostre teste) sono costose nonché poco adattabili ai picchi d’uso e così vengono usate per trasferire niente più che l’1% del traffico telematico mondiale. Il rimanente 99% – dai «buongiornissimo!» alle comunicazioni istituzionali – passa invece nei filamenti vetrosi che solitamente vengono posati sul fondo delle acque internazionali, protetti da spesse guaine che non sono però progettate per resistere a sollecitazioni cinetiche eccessive. Per esempio, nel giugno dell’anno scorso un peschereccio ha tranciato inavvertitamente con le sue reti il cavo sottomarino che connette alla Sicilia le isole di Lampedusa e Linosa. Nel 2022 era avvenuto un caso simile nel Nord dell’Atlantico, isolando per due settimane l’arcipelago delle Shetland. E andando a ritroso, notizie simili si trovano almeno una volta all’anno. Insomma, basta poco per ottenere questo risultato.

Valutando ogni ipotesi, questa volta il taglio dei cavi subacquei potrebbe essere avvenuto a causa del transito di una nave militare della coalizione o di un mercantile fuori rotta per evitare i missili e i droni lanciati dalla costa, oppure per un gesto volontario di un commando Huthi. Anche in assenza di prove definitive è comunque sicuro che questi quattro cavi necessari al benessere mondiale sarebbero ancora integri se i padroni di San’a’ – la capitale yemenita – non si fossero lanciati in attacchi scriteriati contro i navigli commerciali in transito in questa arteria strategica.

di Camillo Bosco

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