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Chi ha vinto la guerra dei dodici giorni?

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Trump interrompe innaturalmente il conflitto lasciando insoluti i problemi che l’hanno scatenato. La guerra dei dodici giorni

La guerra dei dodici giorni

Chi ha vinto la guerra dei dodici giorni?

Trump interrompe innaturalmente il conflitto lasciando insoluti i problemi che l’hanno scatenato. La guerra dei dodici giorni

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Chi ha vinto la guerra dei dodici giorni?

Trump interrompe innaturalmente il conflitto lasciando insoluti i problemi che l’hanno scatenato. La guerra dei dodici giorni

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La coda velenosa della tregua imposta da Trump al conflitto israelo-iraniano è costata la vita al primo soldato di Gerusalemme, sebbene fosse in licenza a casa sua. Il caporale diciottenne Eitan Zacks si trovava nel suo domicilio di residenza a Be’er Sheva per un corso in remoto di primo soccorso, quando con sua madre e la sua fidanzata si è riparato nella stanza sicura della casa. Al termine del primo allarme hanno lasciato il rifugio e, non consci della nuova tattica iraniana del flusso continuo di pochi missili per volta, si erano allontanati troppo dal riparo quando le sirene son suonate la seconda volta. Morti tutti e tre (più un’altra abitante della città) nel dodicesimo e ultimo giorno di guerra tra Israele e Iran, in un vero e proprio caso di in cauda venenum.

Donald Trump e la guerra dei dodici giorni

Un attacco, quello delle forze missilistiche di Teheran, fatto partire poco prima dello scattare dell’armistizio imposto da Donald Trump sul conflitto. L’inquilino della Casa Bianca aveva anche ribattezzato lo scontro come la guerra dei dodici giorni, tanto per sigillare l’orizzonte temporale. Secondo le sue stesse parole, i due belligeranti «Combattono così duramente da così tanto tempo che non sanno che cazzo stanno facendo», letteralmente «they don’t know what the fuck they’re doing». Pare abbia urlato al telefono col primo ministro israliano Benjamin Netanyahu per ottenere il dietrofront dei cacciabombardieri israeliani levati in volo per vendicare il veleno caudale dello scorpione iraniano. Un F35 ha quindi distrutto una misera installazione radar e la guerra è davvero finita lì.

Ma chi ha vinto la guerra dei dodici giorni?

La domanda è quindi, chi ha vinto questa guerra dei dodici giorni? Militarmente e politicamente possiamo dire con sicurezza che è Gerusalemme a emergere come una sorta di egemone regionale, capace di infliggere danni spaventosi a una militarocrazia molte volte più grande di Israele e di stimolare gli Stati Uniti a scendere in campo per colpire quello che non sarebbero riusciti a colpire da soli (soprattutto le infrastrutture di Fordow). L’Iran, tuttavia è riuscita a tenere celato il nuovo e sconosciuto sito di arricchimento dell’uranio, invisibile anche alle capillare reti informative del Mossad. Si sta infatti scrivendo molto sulla presunta efficacia dello strike statunitense sui siti più difesi del programma nucleare iraniano, specialmente sugli esiti del bombardamento di Fordow con dodici bombe bunker buster alte sei metri l’una.

Dalle foto satellitari è chiaro che, essendoci soltanto sei fori di entrata, gli Stati Uniti hanno colpito con la loro solita precisione la struttura. Le bombe hanno colpito due volte lo stesso bersaglio per penetrare la roccia in profondità e devastare le strutture interne, rendendo impossibile una valutazione dei danni dalle foto del terreno rimasto intonso (a eccezione dei fori sopraddetti). Alcuni esperti sostengono siano stati colpiti soltanto i tunnel d’accesso, salvando le sale con i macchinari. Altri invece ritengono distrutte le sezioni principali del centro di arricchimento. La situazione oggettiva del complesso la conoscono però soltanto pochi alti ufficiali iraniani, che forse hanno assistito all’attacco grazie alle telecamere interne o hanno mandato squadre nei sotterranei.

Rimane aperta la questione della mezza tonnellata di uranio arricchito al 60%

Rimane la questione della mezza tonnellata di uranio arricchito al 60%, molto oltre quindi gli usi civili, che sembra sia stato trafugato dal sito prima dell’attacco per essere spostato in una località non nota (forse il centro di arricchimento sconosciuto). Risulta strano che l’intelligence statunitense non abbia sorvegliato e seguito coi satelliti il convoglio di camion sospettati di trasportare combustibile nucleare potenzialmente bastevole per nove bombe nucleari, ma tutto può essere.

Teheran rimane comunque a mesi dal costruire una bomba e soprattutto manca ancora della tecnologia dell’innesco, quindi i servizi di Gerusalemme potranno monitorare la situazione. Anche se i pasdaran, in piena psicosi antisionista, hanno preso a impiccare e imprigionare un numero rilevante di persone accusate di spiare l’Iran per Israele. La precisione delle informazioni ottenute dal Mossad per permettere i bombardamenti contro generali iraniani e infrastrutture industriali o militari fa infatti supporre che la rete di informatori sia vasta e ben distribuita.

Israele e l’annientamento (?) del programma atomico iraniano

Se la vittoria di Israele sia stata completa o monca dell’obiettivo principale, cioè l’annientamento del programma atomico iraniano, lo sapremo soltanto alla ripresa delle trattative. Il generale prussiano Carl von Clausewitz sosteneva che «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi» e, almeno in questo caso, i bombardamenti dovrebbero aver ‘ammorbidito’ la postura iraniana nel dialogo sul nucleare.

Se è stato trafugato davvero, l’uranio di Fordow potrebbe risultare una carta importante da giocare per ottenere condizioni migliori come contropartita alla rinuncia dell’arricchimento indigeno del materiale radioattivo. In caso contrario, cioè di irriducibilità iraniana rispetto alle richieste israelo-statunitensi, Netanyahu avrebbe la scusa perfetta per riprendere a martellare il regime iraniano. Intanto può usare la sua ben rodata aviazione per continuare a indebolire Hamas, Hezbollah e Houthi, cioè gli altri membri di un Asse della resistenza che si è dimostrato incapace di assolvere alla sua missione storica di distruggere la “entità sionista”.

di Camillo Bosco

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