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Colpo grosso sul Tamigi, il fallito furto dei gioielli della Corona britannica

Thomas Blood e il suo piano di vendetta, fallito, che fece epoca: rubare i gioielli della Corona inglese

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Colpo grosso sul Tamigi, il fallito furto dei gioielli della Corona britannica

Thomas Blood e il suo piano di vendetta, fallito, che fece epoca: rubare i gioielli della Corona inglese

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Colpo grosso sul Tamigi, il fallito furto dei gioielli della Corona britannica

Thomas Blood e il suo piano di vendetta, fallito, che fece epoca: rubare i gioielli della Corona inglese

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Thomas Blood e il suo piano di vendetta, fallito, che fece epoca: rubare i gioielli della Corona inglese

È una sera di primavera del 1671 quando il signor Talbot Edwards – il custode che accoglie i visitatori desiderosi di ammirare i gioielli della Corona inglese – sente bussare alla porta del suo appartamento all’interno della Torre Martin, l’area della Torre di Londra dove sono conservati i preziosi di Sua Maestà. Quando va ad aprire, si trova di fronte una figura familiare: è un prete anglicano che gli ha già fatto visita diverse volte. In un’occasione la moglie del religioso aveva avuto un malore mentre era in visita alla Torre ed Edwards l’aveva fatta accomodare in casa sua affinché si riprendesse. Ecco perché quando il 77enne guardiano vede quell’uomo sulla soglia di casa sua, non viene colto da alcun dubbio. Ignorando invece che sta per dare il via a una vicenda destinata a fare epoca.

Quel prete non è un prete. Si tratta infatti dell’irlandese Thomas Blood, ex combattente nell’esercito di Carlo I contro Oliver Cromwell nel corso della prima guerra civile inglese. Arruolatosi fra le file monarchiche, Blood aveva poi cambiato sponda, combattendo nell’esercito dei ‘parlamentari’ guidato proprio da Cromwell. All’epilogo del conflitto, terminato con la decapitazione del re e l’esilio dei suoi discendenti, Blood si era guadagnato una buona posizione sociale e una discreta ricchezza. Ma nel 1660 l’erede al trono Carlo II è tornato in Inghilterra e ha ripreso il potere. Considerato un traditore, l’ex soldato irlandese viene espropriato di tutti i beni e rispedito nella terra natia. Ed è da qui che inizia a covare la propria vendetta. Rientra in Inghilterra sotto falso nome e, inseritosi nel sottobosco criminale londinese, mette a punto il piano per compiere il colpo del secolo: rubare i gioielli della Corona. È questo il motivo per cui bussa alla porta del custode Edwards. Non appena la porta si apre, altri tre complici spuntano dal nulla, tramortiscono il padrone di casa e gli rubano le chiavi delle teche che contengono i gioielli.

In pochi istanti il furto del secolo prende forma, ma sarà destinato a durare poco. Mentre i banditi si danno alla fuga, Edwards – tornato in sé – inizia a gridare allertando le guardie reali. Inizia così un inseguimento tragicomico. I ladri, con la refurtiva nascosta sotto i vestiti o addirittura nei pantaloni, cominciano a perdere i pezzi. Blood addirittura viene raggiunto mentre uno scettro gli scivola da sotto la tonaca e un globo d’oro gli cade dai calzoni. Catturato, viene portato dinanzi a re Carlo II. L’uomo racconta la sua versione dei fatti, rivela i motivi che lo hanno spinto a un simile gesto e spiega di non essere riuscito a fuggire perché troppo ubriaco per correre. Inaspettatamente, il sovrano trova la vicenda talmente paradossale e ridicola da concedere il perdono a Blood. Di più: lo ringrazia per avergli mostrato la fragilità della sicurezza della Torre di Londra. E decide, in segno di riconoscenza, di restituirgli tutti i beni confiscati in precedenza.

Andrà diversamente per il custode Edwards, che verrà punito severamente per la propria negligenza e allontanato per sempre. Thomas Blood se ne andrà nove anni dopo nella sua casa di Westminster, circondato da figli e nipoti che hanno avuto il merito di tramandare questa storia. Quella di un furto che poteva divenire leggendario e che invece si tramutò in una farsa. Per via di un bicchiere di troppo.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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