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Con Israele

Si possono avere le idee più diverse ed esprimere i più diversi giudizi sulla sua politica interna, ma Israele non è e non deve restare solo

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Si possono avere le idee più diverse ed esprimere i più diversi giudizi sulla sua politica interna, ma Israele non è e non deve restare solo

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Si possono avere le idee più diverse ed esprimere i più diversi giudizi sulla sua politica interna, ma Israele non è e non deve restare solo

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Si possono avere le idee più diverse ed esprimere i più diversi giudizi sulla sua politica interna, ma Israele non è e non deve restare solo

La teocrazia iraniana ha scelto la via disperata della devastazione missilistica e degli attentati terroristici. Nel momento in cui andiamo in stampa il sistema di difesa aerea israeliano è riuscito a neutralizzare le bombe dirette sul suo territorio, mentre la popolazione è nei bunker. Un momento drammatico, ma che era stato messo nel conto. Sotto ai missili si muovono anche gli attentati terroristici: due uomini armati hanno sparato e ucciso alla stazione di Jaffa. Lo stile è quello delle milizie addestrate e pagate dagli iraniani, ideatori degli attentati suicidi.

L’intera strategia e influenza iraniana era stata messa con le spalle al muro. I Paesi arabi appoggiavano – chi apertamente e chi meno – la reazione israeliana e nessuno ha trovato motivi di cordoglio per l’eliminazione del vertice di Hezbollah in territorio libanese. Per gli stessi libanesi è stato un annuncio di liberazione. Le operazioni condotte da Israele in Iran – benché non rivendicate come proprie – raccontavano di un regime con molti nemici interni, pronti a collaborare con un Israele che solo dopo la svolta di Khomeyni è stato considerato un nemico, mentre le precedenti relazioni con il mondo persiano erano amichevoli. Anche questo conta, perché quella rivoluzione non fu l’emergere dell’anima profonda dell’Iran, bensì la sua negazione. Tanto che dovette subito divenire una dittatura feroce e dovette regolare i conti alla guida dello Stato, facendo progressivamente fuori tutti quelli che non erano neanche dissidenti, ma non del tutto obbedienti alla volontà della guida suprema. Per i teocrati, quindi, questa è la sfida finale e mortale, oltre la quale c’è la decapitazione del loro regime.

Israele non è e non deve restare solo. Si possono avere le idee più diverse ed esprimere i più diversi giudizi sulla sua politica interna e, del resto, essendo una democrazia i dissensi non mancano al suo interno. Si può ritenere un disastro che per reggere il governo israeliano si faccia ricorso anche a forze fondamentaliste, che gareggiano in ottusità con i fondamentalismi nemici. Ma non si può non vedere che quella in corso è una guerra che può avere una sola conclusione accettabile: la vittoria di Israele. Solo con la vittoria israeliana si potrà riprendere il cammino della pace e della convivenza, riprendendo la battaglia delle idee e preparando un ruolo meno distratto della comunità occidentale e della nostra Unione europea. Ma, in questo momento, sotto quei missili ci sono il nostro mondo e le conquiste di civiltà e di diritto che hanno reso il presente migliore di un passato colmo di guerre e bagnato da troppo sangue. Il prezzo che si paga è alto, ma non ha alternative accettabili.

Una conclusione diversa, in questo scontro che non prevede mediazioni o sfumature, sarebbe non la fine di Israele e della sua sicurezza, ma la nostra. Della nostra sicurezza e dell’equilibrio che rende possibile la prosperità. È stato così nel passato ed è così in questo infuocato presente.

Gli Stati Uniti, il cui ruolo guida dell’Occidente è negabile solo con dosi abbondanti d’ipocrisia, si trovano nel delicato momento di una importante elezione. Ma questo non è un elemento di debolezza, bensì di forza. Le democrazie non sono deboli perché divise all’interno e continuamente sottoposte ai venti elettorali: sono forti della consapevolezza che quella loro condizione è l’alternativa vivente al dominio morente e mortifero delle dittature e delle allucinazioni teocratiche. Per questa ragione gli Usa non esitano nell’essere al fianco di Israele, pur non rinunciando a tutte le possibili diversità e valutazioni politiche. E per questo noi stessi non è che non si abbia scelta, ma dobbiamo compiere la sola scelta razionale, conveniente e coerente con la nostra storia e i nostri interessi: essere al fianco di Israele.

La stella di David non è soltanto il simbolo di un Paese, poterla sventolare è il simbolo di una civiltà. La nostra. La sola nella quale possano trovare spazio la libertà e la prosperità.

di Davide Giacalone

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