Cosa resta della parata del 9 maggio e delle parole di Putin
Nella parata del 9 maggio Putin non ha avuto nessun trofeo da esibire. Tra le righe del discorso pronunciato oggi nella Piazza Rossa si nascondono gli obbiettivi dello Zar.
| Esteri
Cosa resta della parata del 9 maggio e delle parole di Putin
Nella parata del 9 maggio Putin non ha avuto nessun trofeo da esibire. Tra le righe del discorso pronunciato oggi nella Piazza Rossa si nascondono gli obbiettivi dello Zar.
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Cosa resta della parata del 9 maggio e delle parole di Putin
Nella parata del 9 maggio Putin non ha avuto nessun trofeo da esibire. Tra le righe del discorso pronunciato oggi nella Piazza Rossa si nascondono gli obbiettivi dello Zar.
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Nella parata del 9 maggio Putin non ha avuto nessun trofeo da esibire. Tra le righe del discorso pronunciato oggi nella Piazza Rossa si nascondono gli obbiettivi dello Zar.
La montagna partorì il topolino, almeno per la maggior parte della stampa italiana. Le pensano diversamente oltre le Alpi, da Berlino a Parigi fino a Varsavia e Londra. Questa preoccupante divergenza di vedute è il primo lascito di un 9 maggio sottotono, dove sulla Piazza Rossa Putin non ha avuto nessun trofeo da esibire al popolo russo: la cittadella dell’Azovstal continua a resistere e con essa i nazisti (gli unici di Ucraina) del reggimento Azov, il Donbas è un pantano dove i carri moscoviti avanzano a passo calante, Odessa non si lascia intimorire dagli attacchi missilistici e Kiev è ancora libera e indomita.
Sembra che soltanto gli indomiti ucraini abbiano qualcosa da festeggiare: sono ancora in piedi in un Paese sofferente e sanguinante ma libero e fiero.
Dall’altra parte, un Putin ingrigito attinge a tutte le risorse simboliche della Russia, cercando di compensare con il mito nazional-popolare della presa di Berlino la delusione per un’operazione militare poco “speciale”. Nessuna vittoria dichiarata, perché non è stato vinto nulla; nessuna mobilitazione di altre truppe (per il momento) perché socialmente e politicamente non sostenibile; nessun passaggio a stato di guerra totale perché la Russia, ora, non è in grado di farlo.
Quindi, setacciando a fondo la giornata della vittoria più attesa da quando Putin è salito al potere nel 1999, resta un senso di apparente incompiutezza. In Occidente, avevamo bisogno di una dichiarazione netta, precisa. Avevamo bisogno di un punto fermo che invece non è stato messo. Ecco, allora, che restiamo con i nostri dubbi su quello che avrà voluto dire o non dire lo Zar.
Dimesso perché sente avvicinarsi l’ora della fine o oscuro perché prepara la prossima escalation. Questo dubbio continuerà ad attanagliarci e potrebbe rendere difficili le nostre prossime mosse, soprattutto perché in Europa e in Italia vogliono tutti che questo conflitto finisca presto, in un modo o in un altro. Il dubbio ci impedisce di vedere chiaramente le cose e, per questo, è il più grande alleato del Cremlino.
In realtà, qualcosa Putin l’ha detta e noi dobbiamo saper leggere tra le righe. Ha affermato che i combattenti del Donbas combattono per difendere la Madrepatria. Quindi per difendere la Russia. Questo vuol dire che il Donbas è Russia. Per chiunque speri che la Crimea possa placare gli appetiti russi, questa frase quasi banale è un non expedit. Parallelamente, Putin ha detto che l’Occidente ha nelle sue mire il territorio russo e che, quindi, la guerra in Ucraina è una guerra contro di esso (NATO inclusa).
Anche questa l’avevamo già sentita, ma detta sulla Piazza Rossa il 9 maggio perde il significato di slogan propagandistico ed assume i tratti di grido di battaglia. I nemici siamo noi e Putin lo ha detto nel giorno più importante per il suo Paese. Forse il tono non era aggressivo ma le parole suonavano sinistre.
Di Marco Di Liddo – CeSI
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