Crepes
Il ballottaggio a doppio turno francese era perfetto per tagliare fuori gli estremisti e il governo cade per il convergere degli estremisti
Crepes
Il ballottaggio a doppio turno francese era perfetto per tagliare fuori gli estremisti e il governo cade per il convergere degli estremisti
Crepes
Il ballottaggio a doppio turno francese era perfetto per tagliare fuori gli estremisti e il governo cade per il convergere degli estremisti
Da noi si chiamerebbero crespelle, ma per lo più le chiamiamo à la francese: crepes. Con un nome o con l’altro si fanno e si apprezzano in tutte le contrade europee. Nell’incrocio fra crisi del bilancio pubblico e crisi politica – con la prevista caduta del governo Bayrou – oggi la Francia si aggiudica una prevalenza meno gustosa di quella delle crepes. La cosa ci riguarda direttamente e, del resto, c’è il poco esaltante precedente della sifilide, che qui si prese a chiamare “mal francese” e colà chiamarono, già nel XVI secolo, “mal napoletano”.
Bayrou non è stato sfiduciato perché ha commesso un qualche errore, ma perché pretendeva di dire le cose come stanno e che la Francia corre seri rischi se prende a considerare normale il convivere con un debito pubblico che è (in rapporto al Prodotto interno lordo) più basso di quello italiano, ma pur sempre mostruoso. Quel debito ha un costo annuo che sottrae ricchezza agli investimenti e ai servizi pubblici. Noi italiani ne sappiamo qualche cosa, visto che il debito ci costa più dell’istruzione e ogni anno constatiamo che la formazione dei giovani lascia molto a desiderare.
Bayrou ha ragione nell’avvertire i francesi che la generosità nel campo delle pensioni è, in realtà, una prova di egoismo generazionale a danno dei più giovani. E aveva ragione anche sulla tassazione di favore che l’Italia fa ai ricchi stranieri – quindi anche francesi – mentre non ha senso rispondergli che noi subiamo in altri settori la concorrenza fiscale. Il punto è proprio quello: Francia e Italia hanno poderosi interessi in comune, a cominciare da quelli relativi al bilancio dell’Unione Europea e dalla possibilità di emettere titoli europei che consentano di far crescere gli investimenti nella difesa; Francia e Italia hanno però anche in comune classi politiche che pensano di guadagnare consensi alimentando la reciproca diffidenza o antipatia. Roba da fessi, ma di successo.
Infine, Bayrou ha la colpa di non avere taciuto e di avere supposto che per non rimanere nella trappola della stupidità dilapidante fosse utile informare dei fatti l’opinione pubblica. Ha fatto un illuministico investimento nella pedagogia collettiva. Gli hanno spento la luce.
La cosa, come le crepes e la sifilide, non riguarda soltanto noi e i francesi ma tutte le democrazie europee: se fai credere che a carico del bilancio pubblico può essere messo qualsiasi pur legittimo desiderio o bisogno, poi non riuscirai più ad arginare una degenerazione politica che alimenta forze richiedenti spese pubbliche aggiuntive, alle quali non puoi contrapporre vincoli di mercato o europei perché ti risponderanno che si deve essere sovrani e si può mandare il resto del mondo a pascolare altrove. Sarebbero dementi se ci credessero e, in fondo, non ci credono neanche quelli che li votano, ma si trova una convenienza nel far finta che sia vero per avere qualche cosa in più. Subito. Una tecnica politica che cancella il futuro, considerato non più il tempo dei coraggiosi e dei sognatori ma degli illusi insonni.
Tutto questo insegna anche che a essere decisiva è la qualità della classe politica e non la struttura costituzionale. L’edificio istituzionale conta, ma a fare la differenza è chi lo abita. L’Inghilterra ha un sistema elettorale maggioritario e un premierato (senza elezione diretta) che era il ritratto della stabilità, ma i conservatori hanno cambiato premier a raffica e Starmer è alle prese con i sondaggi che premiano gli oppositori.
Il ballottaggio a doppio turno francese era perfetto per tagliare fuori gli estremisti e oggi il governo cade per il convergere degli estremisti. Gli italiani si consideravano (sbagliando) il regno dell’instabilità e ora si ritrovano a essere i più stabili. Ma noi abbiamo un ingrediente che altrove non sanno maneggiare con altrettanta grazia: il trasformismo.
Nessuno uscirà dai propri guai parlando il dialetto del nazionalismo, che li aggrava. Ma la lingua europea non la si può usare soltanto nei giorni delle celebrazioni.
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