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Crisi umanitaria ma il calcio non si ferma

I riflettori dei media internazionali sono puntati sul Camerun: nonostante l’allarme lanciato dall’Unhcr sulle oltre 100mila persone in fuga e l’emergenza pandemica, in questi giorni fino al 6 febbraio si terrà la “Coppa delle nazioni africane”, confermata dalla Fifa.
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Crisi umanitaria ma il calcio non si ferma

I riflettori dei media internazionali sono puntati sul Camerun: nonostante l’allarme lanciato dall’Unhcr sulle oltre 100mila persone in fuga e l’emergenza pandemica, in questi giorni fino al 6 febbraio si terrà la “Coppa delle nazioni africane”, confermata dalla Fifa.
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Crisi umanitaria ma il calcio non si ferma

I riflettori dei media internazionali sono puntati sul Camerun: nonostante l’allarme lanciato dall’Unhcr sulle oltre 100mila persone in fuga e l’emergenza pandemica, in questi giorni fino al 6 febbraio si terrà la “Coppa delle nazioni africane”, confermata dalla Fifa.
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I riflettori dei media internazionali sono puntati sul Camerun: nonostante l’allarme lanciato dall’Unhcr sulle oltre 100mila persone in fuga e l’emergenza pandemica, in questi giorni fino al 6 febbraio si terrà la “Coppa delle nazioni africane”, confermata dalla Fifa.
I riflettori dei media internazionali sono puntati sul Camerun per varie ragioni. Dal Paese del Sahel ha origine “Ihu”, la nuova variante Covid con 46 mutazioni individuata ora nel Sud della Francia. Secondo i dati dell’Oms, solo il 2,4% dei 24 milioni di camerunensi ha ricevuto il ciclo vaccinale. In Camerun domenica scorsa è partita anche Can 2022, la “Coppa delle nazioni africane”, il cui svolgimento previsto fino al 6 febbraio è stato confermato dalla Fifa, che sembra più interessata a tutelare gli interessi dei club calcistici piuttosto che alle precauzioni per la pandemia, e non solo. Eppure un allarme significativo è stato lanciato dall’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. A fine anno ha denunciato violenze in corso nell’estremo Nord del Paese che hanno costretto alla fuga oltre 100mila persone. Si parla di più di 85mila camerunensi fuggiti nel vicino Ciad, con la prevalenza di bambini e il 98% degli adulti composto da donne. Circa 48mila persone hanno trovato rifugio in 18 località dell’area urbana della capitale, N’Djamena, mentre altre 37mila sono sparse tra 10 differenti aree rurali lungo il fiume Logone. Altri 15mila camerunensi sarebbero sfollati all’interno del Paese. L’accesso degli aiuti umanitari all’area è molto limitato, per cui le cifre potrebbero essere molto più alte. Varie fonti riferiscono anche di un incremento delle vittime negli scontri: si parla di oltre 70 persone uccise e 150 ferite a dicembre, mentre oltre un centinaio di villaggi sono stati dati alle fiamme e rasi al suolo. Le violenze sono riconducibili a due cause principali tipiche dell’antropologia dei conflitti del Sahel. Da un lato, le criticità ambientali segnalate anche alla recente Cop26 di Glasgow dalla delegazione africana: in questo caso si tratta della siccità, in particolare del lago del Ciad, la cui superficie si è ridotta del 95% negli ultimi 60 anni. Dall’altro, il conseguente inasprimento delle rivalità interetniche. Gli scontri sono scoppiati a inizio dicembre nel villaggio di frontiera di Ouloumsa tra allevatori di bestiame di etnia araba choua e i pescatori delle comunità Mousgoum e Massa per la disputa sulle risorse idriche e alimentari in esaurimento lungo il fiume Logone. Gli Arab Chua hanno accusato i pescatori di aver realizzato trappole che hanno ucciso il bestiame, mentre i Mousgoum e i Massa accusano gli allevatori di consentire agli animali di distruggere le loro piantagioni e di danneggiare le riserve per la pesca. Da qui gli scontri nei dipartimenti settentrionali di Lagone e Chari, che si sono estesi a interi villaggi e mercati dati alle fiamme, con piantagioni distrutte e bestiame ucciso e rubato. Un clima di terrore e di indigenza che quindi ha costretto la parte della popolazione più pacifica, soprattutto donne e bambini, all’esodo forzato. L’esercito camerunense è intervenuto per evitare il peggio nella città di Kousseri, in prossimità del confine ciadiano, mentre il leader del governo militare del Ciad, Mahamat Idriss Deby Itno, ha richiesto il sostegno della comunità internazionale per far fronte all’afflusso dei profughi «così elevato in pochi giorni». Maurice Kamto, leader del Movimento per la rinascita del Camerun (Mrc), principale partito di opposizione, ha accusato il governo di Paul Biya, presidente al potere dal 1982, di essere «assente e incapace di applicare le norme riguardo alle controversie agro-pastorali, che avrebbero evitato lo scoppio di questa tragedia». Intanto sull’area incombono ancora i gruppi jihadisti di Boko Haram, dell’Iswap (lo Stato Islamico dell’Africa occidentale) nonché i gruppi separatisti armati che reclamano l’indipendenza dell’autodichiarata Repubblica Federale  di Ambazonia. Per l’Onu, negli ultimi 4 anni il conflitto ha causato 4mila morti e 700mila profughi. Questo è il Camerun: un tassello delle crisi del Sahel. di Maurizio Delli Santi

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