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Bielorussi al fronte

Non sono pochi i Bielorussi giunti in Ucraina per recarsi a fronte, per combattere una comune guerra di libertà. Tra loro c’era Eduard
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Bielorussi al fronte

Non sono pochi i Bielorussi giunti in Ucraina per recarsi a fronte, per combattere una comune guerra di libertà. Tra loro c’era Eduard
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Non sono pochi i Bielorussi giunti in Ucraina per recarsi a fronte, per combattere una comune guerra di libertà. Tra loro c’era Eduard
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Non sono pochi i Bielorussi giunti in Ucraina per recarsi a fronte, per combattere una comune guerra di libertà. Tra loro c’era Eduard

Lviv – A battersi più di tutti nell’ultimo avamposto delle democrazie è chi la libertà l’ha assaggiata soltanto dopo generazioni d’annientamento da parte di un regime e quanti, tuttora soffocati dai fantasmi sovietici, coltivano un sogno europeo per i propri figli. Fra questi ultimi, partigiani e volontari bielorussi esprimono senza dubbio la volontà di un popolo che non è mai riuscito a liberarsi dal giogo della dittatura sovietica, proseguita dopo il crollo dell’Urss con il sistema autocratico e revanscista di Lukashenko.

Ho ascoltato decine di storie d’infermieri, medici, ingegneri, driver, soccorritori e militari bielorussi giunti in Ucraina per contrastare la criminale aggressione mossa da Putin, nella speranza che il suo fallimento avrebbe comportato anche la caduta di Lukashenko. Tra tutte, quella di Eduard Lobov stupisce per eroismo e determinazione. Ex prigioniero politico, fu arrestato il 18 dicembre 2010 insieme al leader del “Fronte dei giovani” Zmitser Dashkevich per aver denunciato la falsificazione dei risultati delle elezioni presidenziali in Bielorussia. Scontati quattro anni di detenzione nella colonia penale “Wolf Holes”, il giovane dissidente è stato insignito nel 2014 del “Viktar Ivashkevich National Human Rights Awards”.

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Arruolatosi volontario nella 72ª brigata meccanizzata separata, ha combattuto l’invasione russa dell’Ucraina sin dal 2015. Nel 2022 ha partecipato alla liberazione di Kyiv, Hostomel e Chernobyl così come alle recenti operazioni militari condotte a Bakhmut e Uhledar. Qui, il 26 gennaio scorso, s’è trovato coinvolto con la sua squadra in un aspro combattimento ravvicinato con i russi che, in evidente sovrannumero, hanno attanagliato in una morsa di fuoco e schegge la struttura presso cui si trovava. Sanguinante e circondato da altri compagni gravemente feriti, Eduard s’è presto reso conto che i soccorsi non avrebbero mai potuto giungere in tempo e che l’unico modo per tentare di salvare qualcuno era coprirne la fuga. Le munizioni però erano quasi finite e serviva davvero una mira eccezionale per non sprecare in raffiche i pochi colpi nel caricatore. Nei pochi secondi rimasti, ha così imbracciato l’arma ed è uscito allo scoperto. Sparando a colpi singoli è riuscito a colpire uno dopo l’altro 15 russi, consentendo a tutti i suoi compagni di trarsi in salvo. Rimasto solo, malconcio e senza munizioni, ha imbracciato un Javelin ed esploso un ultimo colpo letale al tank russo che lentamente incedeva puntando verso i commilitoni in salvo. Gravemente ferito, è infine morto difendendo una libertà sognata, accarezzata e contesa prima da dissidente e poi da soldato.

Ridurre quella combattuta in Ucraina a una guerra di conquista di un Paese è un grave errore. Qui si lotta per difendere i valori fondanti di ogni sistema democratico e a farlo con più ardore è senza dubbio chi ha vissuto sotto il giogo della dittatura comunista: ucraini, bielorussi, georgiani, moldavi e persino russi che passano dalla parte ucraina. Decenni di condizionamento totalitario, repressione di ogni identità individuale, controllo dell’informazione e del pensiero hanno forgiato la volontà incrollabile di giovani come Eduard, determinati e disposti a tutto pur d’interrompere l’autogenesi di un sistema fallimentare e criminale.

di Giorgio Provinciali 

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