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Bombe russe sulle coste del Mar Nero

Bombe russe sulle coste del Mar Nero

Il mare calmo e la fine sabbia bianca di spiagge un tempo frequentate da turisti oggi sono gli ultimi avamposti ucraini sulle coste del Mar Nero

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Il mare calmo e la fine sabbia bianca di spiagge un tempo frequentate da turisti oggi sono gli ultimi avamposti ucraini sulle coste del Mar Nero

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Il mare calmo e la fine sabbia bianca di spiagge un tempo frequentate da turisti oggi sono gli ultimi avamposti ucraini sulle coste del Mar Nero

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Il mare calmo e la fine sabbia bianca di spiagge un tempo frequentate da turisti oggi sono gli ultimi avamposti ucraini sulle coste del Mar Nero

Kobleve – Costeggiando il mare per tutto il tratto di strada che da Odesa porta verso l’oblast’ di Mykolaiv s’apre di fronte agli occhi uno scenario surreale, post apocalittico. Una dopo l’altra scorrono le località balneari più rinomate di questa costa del Mar Nero – tuttora proposte dai più popolari motori di ricerca come luoghi ideali per trascorrere una vacanza da sogno – semidisabitate e in larga parte distrutte. Stabilimenti balneari modernissimi e dotati d’ogni comfort nei cui parcheggi razzolano cani randagi, campi da golf martoriati dai colpi d’artiglieria, aquapark le cui attrazioni sono scolorite e sventrate da frammenti di droni e missili, alberghi di recente costruzione le cui inferiate e porte d’ingresso sono avviluppate da filo spinato, giostre e scivoli per bambini accatastati fra i cavalli di Frisia.

Fino a due anni e mezzo fa tutto questo non era solo pieno di vita ma anche talmente esclusivo da potervi accedere solo se provvisti d’un cospicuo conto in banca. Fra villette a due o anche tre piani, così nuove da avere ancora il cellophane sulle porte, vediamo uscire diverse vetture d’alta cilindrata nuove di zecca. Alla guida i proprietari di quelle lussuose abitazioni, che talvolta si fermano di loro spontanea volontà per spiegare ai nostri microfoni cos’abbia portato il russkij mir qui a Kobleve. «Tutto il quartiere in cui vi trovate era appena stato costruito secondo i più recenti standard qualitativi e di sicurezza quando i russi hanno iniziato a bombardarlo. Abbiamo investito cifre considerevoli in quella che pensavamo e volevamo fosse una piccola oasi di pace in cui trascorrere serenamente l’estate con le nostre famiglie. Ora torniamo qui di tanto in tanto per controllare lo stato delle nostre proprietà e scongiurare il peggio».

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Al di là della strada principale – ormai ridotta a un colabrodo dai colpi russi – notiamo una bambina di non più di tre anni giocare col secchiello e la paletta, raccogliendo la sabbia bianca e fine che conduce verso la spiaggia. Di fronte a lei, un doppio passaggio di filo spinato e due cartelli molto grandi indicano la presenza di mine. Tutto il litorale è ormai interdetto ai civili e lungo il bagnasciuga notiamo tre lunghe file di denti di drago, ai quali seguono grosse barricate formate da sacchi di sabbia e resti d’abitazioni distrutte.

Fra quei ruderi vediamo uscire un uomo: alla vista dei nostri chevròn ci raggiunge spiegando d’essere un soldato della 208ª brigata di Kherson. «Vengo qui da quando ero bambino. Una di quelle case che vedete di fronte al mare è la mia. Mia moglie è lì dentro e questa che vedete è mia figlia. Siamo legati a questi luoghi da un profondo senso d’appartenenza e torniamo qui ogni volta che possiamo. Prima d’arrivare alla porta di casa mia i russi dovranno passare sul mio cadavere e non sarà affatto semplice perché tutti questi ragazzi che vedete qui intorno sono qui per difendere ogni granello di questa sabbia». Firmando la nostra bandiera dell’Ucraina, quel soldato ci invita a tornare l’anno prossimo, scommettendo che nessun russo sarà lì.

In soli due anni la natura sembra essersi riappropriata in parte di quanto costruito dall’uomo, tanto da rendere certi passaggi tanto angusti da ricordare quanto visto a Chornobyl e Prypiat. Riusciamo tuttavia a infilarci in un piccolo pertugio verso il mare abbastanza da ascoltare il canto della risacca e il grido dei gabbiani, ritmato dal continuo e logorante frastuono dell’esplosioni. È il tramonto e, mentre un sole infuocato lambisce un orizzonte colorato allo stesso modo dalle deflagrazioni, Kobleve si prepara a resistere ancora un’altra notte.

Di Alla Perdei e Giorgio Provinciali

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