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Cento giorni di guerra

Cento giorni di guerra, di resistenza e di disfatta

A cento giorni dall’inizio di quella guerra che doveva durare, secondo i suoi pianificatori, tre giorni o poco più, continua l’orgia di morti, di tenace resistenza ucraina a Sjevjerodonec’k e di disfatta degli obiettivi russi.

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Cento giorni di guerra, di resistenza e di disfatta

A cento giorni dall’inizio di quella guerra che doveva durare, secondo i suoi pianificatori, tre giorni o poco più, continua l’orgia di morti, di tenace resistenza ucraina a Sjevjerodonec’k e di disfatta degli obiettivi russi.

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Cento giorni di guerra, di resistenza e di disfatta

A cento giorni dall’inizio di quella guerra che doveva durare, secondo i suoi pianificatori, tre giorni o poco più, continua l’orgia di morti, di tenace resistenza ucraina a Sjevjerodonec’k e di disfatta degli obiettivi russi.

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A cento giorni dall’inizio di quella guerra che doveva durare, secondo i suoi pianificatori, tre giorni o poco più, continua l’orgia di morti, di tenace resistenza ucraina a Sjevjerodonec’k e di disfatta degli obiettivi russi.

È trascorso il centesimo giorno di una guerra che doveva durarne, secondo i suoi brillanti pianificatori, tre o poco più. Un paio di settimane al massimo, assicurava il capo dell’Fsb Sergey Beseda mentre chiedeva al Cremlino decine di milioni di rubli per foraggiare una fantomatica quinta colonna russofila tra i ranghi dei corrotti nazidrogati ucraini. Tanto valeva comprare, con quei soldi, la Fontana di Trevi.

La seconda forza armata del pianeta – sulla carta, si diceva – è attualmente impantanata in un Vietnam i cui vietcong hanno sì meno equipaggiamenti degli aggressori, ma spesso e volentieri di qualità migliore. Ed è in programma che ne ricevano altri dalle più potenti economie del mondo. Dopo i sistemi missilistici autopropulsi Mlrs, gli Stati Uniti pare infatti vogliano cedere ai resistenti i droni d’attacco equipaggiabili con missili Hellfire, che permetterebbero ai generali del presidente Zelens’kyj di colpire ovunque necessario le artiglierie russe impegnate nel livellamento delle cittadine dell’Est dell’Ucraina.

Questo conflitto è però soprattutto uno scontro di annunci, riguardo per esempio alcune navi russe che gli ucraini dichiararono di aver affondato ma che continuano a navigare: come la fregata Makarov, che da quel giorno – in cui fu quantomeno danneggiata – si tiene comunque ben distante dalle coste nemiche. A queste rivendicazioni fanno da contraltare, centuplicate, quelle assurde e mitomani dei russi che vogliono distrutti gli aiuti militari occidentali già prima che siano stati inviati, oppure che sostengono di aver abbattuto tre volte l’intera aviazione giallazzurra mentre ancora volano i caccia Su-25 dei difensori.

In questa schermaglia di proclami si inseriscono i comunicati sugli aiuti militari, che tra bisogno di segretezza e necessità di deterrenza sopravvivono nel tam-tam dei media ma non, talvolta, alle trappole del diritto internazionale, come nel caso delle munizioni svizzere che gli elvetici non vogliono vedere cedute a Paesi terzi. A margine di questo casino su cui trionfano solo gli abachi della Morte, troviamo il ridicolo dibattito italiano sul fatto che Putin sia o meno un master strategist (quando sarebbe più semplice definirlo un criminale), che tiene in riserva i suoi reparti d’élite e organizza operazioni con migliaia di uomini solo come finte per disorientare i nemici.

Resta un fatto che gli addestratissimi paracadutisti del colonnello generale Serdjukov sono già morti a mazzi per cercare di prendere Kyiv, fallendo insieme alle colonne del generale Chayko calate dalla Bielorussia. L’unica finta che si è vista in questa guerra sembra sia stata inscenata a Sjevjerodonec’k. Lì le truppe ucraine appartenenti alla 128esima Brigata d’assalto da montagna e alla 31esima e alla 80esima Brigata aviotrasportata stanno ora contrattaccando gli elementi della Rosgvardiya e del 141esimo reggimento separato motorizzato ceceni (unità prediletta del dittatore Kadyrov) nonché della 2nda Brigata motorizzata di fucilieri, dei battaglioni meccanizzati e corazzati della 127esima Divisione motorizzata di fucilieri e dei mercenari della Wagner.

Le forze di Mosca, imbaldanzite dalle notizie della ritirata del nemico, erano penetrate velocemente nei distretti urbani delle città ma si sono così ritrovate parzialmente insaccate ed esposte a causa della loro stessa foga. Una ennesima brutta notizia per il generale Dvornikov, dopo che ha potuto dislocare solo 27 blindati Bmp-1 per tamponare i guai a Chersòn.

A questo punto, le indiscrezioni della sua sostituzione col colonnello generale Gennady Zhidko, russo d’origine uzbeka già viceministro della Difesa, troverebbero nuove conferme.

  di Camillo Bosco

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