Civili sotto tiro
Kakovkha – Dopo il crollo della diga, oltre all’artiglieria russa, ora anche i cecchini posizionati sui tetti prendono di mira i civili ucraini
Civili sotto tiro
Kakovkha – Dopo il crollo della diga, oltre all’artiglieria russa, ora anche i cecchini posizionati sui tetti prendono di mira i civili ucraini
Civili sotto tiro
Kakovkha – Dopo il crollo della diga, oltre all’artiglieria russa, ora anche i cecchini posizionati sui tetti prendono di mira i civili ucraini
Kakovkha – Dopo il crollo della diga, oltre all’artiglieria russa, ora anche i cecchini posizionati sui tetti prendono di mira i civili ucraini
Kherson – Dmytro ha vissuto cinque mesi sotto occupazione in quella parte dell’oblast’ di Kherson che oggi è finalmente libera dai criminali russi. Persino nei mesi più bui apriva ogni collegamento telefonico con noi allo stesso modo: «Все добре, Нема проблема!» (Va tutto bene, non c’è nessun problema). Per lui era così ed eravamo quasi in imbarazzo perché avremmo dovuto esser noi a tranquillizzare lui, non il contrario. Usando sempre e soltanto messaggi positivi, Dmytro ci ha ricordato per più di un anno quale enorme fortuna avesse nel poterci raccontare momenti costati ad altri la vita: «Sono riuscito a salvare la mia casa! L’importante è quello. Io e mia moglie abbiamo lavorato tutta la vita per quel fazzoletto di terra e non l’abbiamo mai abbandonato, neanche col fucile puntato contro. La mia casa è salva, il resto non è un problema». Abbiamo cercato Dmytro ininterrottamente, per ore. Abbiamo anche provato a raggiungerlo, ma le strade erano impercorribili se non improvvisando una traversata in zattera, dopo aver lasciato l’auto qualche chilometro indietro. All’artiglieria russa – che sin dal primo istante in cui la diga è crollata ha preso di mira i civili ucraini in fuga – ora si sono aggiunti i cecchini, posizionati sui tetti dei palazzi sulla riva opposta del Dnepr. Per tentare una traversata col gommone occorrerebbe lasciare a terra i giubbetti antiproiettile, rendendosi prede di un inutile gioco al massacro. Decidiamo d’attendere. Nel cuore della notte squilla il telefono. Con una voce tremante e irriconoscibile, Dmytro c’informa d’aver perso tutto: «La casa è distrutta. Ho provato a nuotare all’indietro tenendo Vera (la moglie a cui il diabete ha portato via una gamba, ndr.) con un braccio, ma tronchi e oggetti d’ogni genere ci venivano addosso. Ci siamo aggrappati a un palo, finché i volontari ci hanno tirati su. Siamo vivi ma abbiamo perso tutto».
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Dopo interminabili ore d’attesa finalmente riusciamo a sentire anche Paraska, la sorella di Dmytro che abita proprio nella Nova Kakovkha occupata e distrutta: «Sono riuscita ad agganciarmi a un operatore ucraino, quelli russi non funzionano più. Sono all’ultimo piano ferma da due giorni, con quattro bottiglie d’acqua e un pacco di biscotti. Bohdan e David (i figli, ndr.) hanno provato a farsi trascinare dal fiume fino alla parte libera. Dicevano che era l’unica occasione per sfuggire ai terroristi ma ora sono dispersi, non rispondono e nessuno sa dove siano. Volevano andare da mio fratello». Diciamo a Vera che Dmytro sta bene e anche la moglie, ma che la loro casa non esiste più. Scoppia in lacrime, non sa dove possano essere i suoi figli e noi non sappiamo come poterla aiutare. Paraska teme che siano stati colpiti dai cecchini russi: «Hanno impedito l’evacuazione a tutti. Ci hanno impedito d’evacuare le case allagate, tenendoci sotto tiro dagli ultimi piani dei palazzi. Ho tanta paura che gli abbiano sparato perché ho visto coi miei occhi sparare ad altre persone mentre nuotavano». 600 km2 della regione di Kherson sono sott’acqua, di cui il 32% sulla riva destra e il 68% su quella sinistra, occupata dai russi. Il livello medio d’allagamento misurato stamattina è di 5,61 metri. Tenuti sotto tiro dai cecchini russi, i civili segregati agli ultimi piani implorano aiuto rivolgendo le mani giunte ai droni ucraini, che portano loro qualche bottiglia d’acqua. Artiglieria e accampamenti russi vengono spostati qualche chilometro indietro, lasciando i civili come scudo umano.
Di Giorgio Provinciali
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