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Democrazia in gioco

Il punto nel conflitto in Ucraina non è fermare la guerra, ma salvare la democrazia. A sottolineare questo concetto  è Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola d’Economia e Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 
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Democrazia in gioco

Il punto nel conflitto in Ucraina non è fermare la guerra, ma salvare la democrazia. A sottolineare questo concetto  è Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola d’Economia e Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 
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Democrazia in gioco

Il punto nel conflitto in Ucraina non è fermare la guerra, ma salvare la democrazia. A sottolineare questo concetto  è Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola d’Economia e Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 
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Il punto nel conflitto in Ucraina non è fermare la guerra, ma salvare la democrazia. A sottolineare questo concetto  è Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola d’Economia e Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 
Pjotr Tolstoj, vicepresidente della Duma russa e trisnipote dell’omonimo scrittore, ha dichiarato che «le potenze nucleari non perdono mai le guerre», aggiungendo di voler rispedire l’Ucraina nel XVIII secolo privandola dell’elettricità e dei beni di primaria necessità, perché «l’unico punto di mediazione è la bandiera russa su Kyiv». L’intenzione russa è dichiaratamente di mettere le mani su quella che Stalin definì «la gemma più splendente della corona» e le modalità prescelte sono le stesse di 90 anni fa: un genocidio. Come può l’Occidente libero e democratico scendere a compromessi con un regime cleptocratico di stampo criminale che ha proiettato nel cuore dell’Europa gli orrori relegati alle pagine più buie della sua storia? Le condizioni necessarie all’unica pace possibile possono essere discusse solo tra democrazie.

Il punto dunque non è fermare la guerra, ma salvare la democrazia. A sottolineare questo concetto – propedeutico a ogni ulteriore ragionamento – è Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola d’Economia e Relazioni internazionali e professore ordinario di Relazioni internazionali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. In “Il posto della guerra e il costo della libertà” (Bompiani) Parsi spiega come l’invasione russa dell’Ucraina in realtà non sia un’aggressione diretta solo a quel Paese ma a tutti i valori fondanti di un Occidente libero e democratico, che dopo esser stato per secoli teatro di tutte le guerre è ora il pilastro fondamentale di un ordine liberale basato su regole, istituzioni e trattati garanti della cooperazione e della pace. Putin ha dichiarato guerra al sistema internazionale eretto sulle fondamenta della democrazia. Ha cercato di scardinarlo dall’interno con la menzogna e le fake news, alimentando il seme dell’odio e sfruttando le debolezze di una società in cui teorie cospirazioniste e complottiste ben orchestrate possono viaggiare alla velocità della luce sui social network. Sta cercando di sgretolarlo dall’esterno, distruggendo un Paese che lotta per la propria stessa esistenza e ricattandone altri con la fame, il freddo, gli stenti.

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Colpito dalla limpidezza del suo ragionamento, domando al professor Parsi come possa una realtà tanto chiara come quella ucraina esser così spesso distorta o addirittura negata in Italia. «In questo Paese s’è fatto passare il coraggio per una cosa fastidiosa e la viltà per una scelta intelligente» osserva, spiegando come gente poco coltivata nel coraggio ma affetta da un egoismo sindromico latente possa finire per gettare nello stesso calderone diritti, doveri, paure e prepotenze in nome del quieto vivere. «Tutti quelli che hanno sostenuto le peggiori nefandezze – dicendo che non c’erano prove che i russi avessero fatto le cose che han fatto e negando l’evidenza di una guerra terroristica, punitiva e vigliacca – non hanno mai chiesto scusa. Anzi, continuano a ingrossare la palla di pelo delle bugie per evitare di farlo, disvelando la loro sciatteria intellettuale e una disonestà etica molto profonda» aggiunge, ricordando come neppure dinnanzi ai morti certuni abbiano smesso di anteporre il proprio narcisismo compiaciuto. «Non c’è affezione per la libertà e rispetto per chi si batte per essa» conclude Parsi. «Chi non ha il coraggio di lottare per la libertà taccia e rispetti chi lo fa».

di Giorgio Provinciali

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