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Derubati dai russi

Visitare Sloviansk oggi è doloroso perché fa sentire la gravità del peso del tempo e delle menzogne
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Derubati dai russi

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Derubati dai russi

Visitare Sloviansk oggi è doloroso perché fa sentire la gravità del peso del tempo e delle menzogne
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Visitare Sloviansk oggi è doloroso perché fa sentire la gravità del peso del tempo e delle menzogne
Sloviansk – La città da cui scriviamo è la cartina tornasole che forse più d’ogni altra sbugiarda un decennio di menzogne grandi come i crateri descritti ieri, lasciati dai russi anche in questi luoghi. Tutto inizio qui, nel 2014. I maggiori danni arrecati alle infrastrutture di Sloviansk risalgono infatti a dieci anni fa, quando questa bella e ricca città fu invasa e saccheggiata da quei russi che per tutto questo tempo buona parte dell’Occidente ha chiamato ‘separatisti ucraini’. Basta farsi un giro per le fabbriche distrutte di Sloviansk per veder crollare fra quelle macerie anche l’enorme castello di bugie costruito da Putin. Come mostra chiaramente il filmato che abbiamo registrato per “La Ragione”, la vastità dei crateri e la portata della devastazione arrecata a questi luoghi nel 2014 è tale da far escludere categoricamente anche ai più scettici che possa essersi trattato d’una guerra civile. Gli armamentari necessari a distruggere impianti industriali grandi come due campi da calcio non si trovano in vendita su eBay o Amazon, né si possono comprare al mercato nero. Fanno parte di quegli strumenti di morte portati dai russi in terra ucraina per realizzare il folle disegno imperialista idealizzato per anni da Aleksandr Dugin, tra cui figura ad esempio il sistema missilistico Buk proveniente dalla base russa di Kursk con cui fu abbattuto il volo MH-17 nei cieli sopra l’Ucraina orientale il 17 luglio 2014, uccidendo 298 civili innocenti. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI CRONACHE DI GUERRA  Visitare Sloviansk oggi è doloroso perché fa sentire la gravità del peso del tempo e delle menzogne. Parliamoci chiaro: nel 2014 l’Occidente si trovò dinnanzi a una scomoda realtà -cioè quella di dover onorare gli accordi firmati a Budapest vent’anni prima, difendendo un’Ucraina invasa proprio dai cofirmatari di quell’accordo- e una bugia confezionata ad arte per potersene lavare le mani, lasciando a Kyiv l’onere di risolvere una questione locale. Chi vive a Sloviansk non ha dimenticato nulla di tutto ciò: essere russofoni non è una colpa né un pretesto per essere invasi, se l’unica lingua che ti è stata insegnata a scuola è il russo (in epoca sovietica la lezione d’Ucraino, qui, era una sola a settimana). Lo è tuttavia non opporsi a chi oltre alla tua lingua vuole rubare tutte ricchezze della tua terra e la tua stessa identità. Le decine di persone che abbiamo intervistato a Sloviansk odiano visceralmente i russi. Non li sopportano, ne parlano davvero molto male ricollegando alla loro presenza tutto ciò che essi sono venuti a rubare nel 2014 e ancora nei decenni precedenti. Sin dal nostro ingresso in città, vedendo la scritta press sulla nostra auto la custode notturna d’un distributore di carburante ci è venuta incontro intenzionata a tutti i costi a rilasciare una dichiarazione, che per lei abbiamo capito essere liberatoria quanto una confessione: «Sono madre di due figli, entrambi militari. Uno è ancora al fronte, partito come volontario e rimasto lì ormai da anni per difendere la nostra Ucraina, mentre l’altro per questo Paese ha dato la vita. Sono andata da sola a recuperarne il corpo, perché essendo morto nel territorio del Donbas occupato dai russi nessuno credeva che da lì sarebbe mai uscito. Solo una madre può capire certe cose. Ho fatto tutto il viaggio in macchina da sola, col suo corpo accanto a me. La nostra terra è molto ricca ma noi siamo poveri, perché la Russia s’è appropriata dei nostri beni con l’intenzione di rubarli per sempre. Avevamo le fabbriche e le materie prime più preziose di tutta l’Ucraina. Credevano che portandocele via ci saremmo prostrati elemosinandone qualche briciola. Si sbagliano. Vedete qui intorno? Ci sono soldati ovunque. Migliaia di ragazzi che, come i miei figli, sono pronti a morire per la loro madrepatria. Non cederemo mai». Nemmeno una delle decine di testimonianze da noi registrate a Sloviansk si discosta da queste parole, dette proprio in russo. Chiunque in Italia sostenga il contrario è invitato a venire qui. Di Giorgio Provinciali e Alla Perdei

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