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Dolore nello sguardo

Ogni pietra del castello di Kamianets-Podilskyj racconta l’incredibile resilienza d’un popolo che per il suo intero ciclo esistenziale è stato chiamato a resistere
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Ogni pietra del castello di Kamianets-Podilskyj racconta l’incredibile resilienza d’un popolo che per il suo intero ciclo esistenziale è stato chiamato a resistere
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Ogni pietra del castello di Kamianets-Podilskyj racconta l’incredibile resilienza d’un popolo che per il suo intero ciclo esistenziale è stato chiamato a resistere
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Ogni pietra del castello di Kamianets-Podilskyj racconta l’incredibile resilienza d’un popolo che per il suo intero ciclo esistenziale è stato chiamato a resistere
Kamianets-Podilskyj – L’esistenza stessa della città da cui scriviamo sbugiarda gran parte della retorica russa secondo cui l’Ucraina non sarebbe altro che un’invenzione bolscevica. Kamianets-Podilskyj fu infatti menzionata per la prima volta nel 1062 (cioè quasi un secolo prima della fondazione dell’odierna Mosca) in quanto città della Rus’ di Kyiv, e nell’arco della sua millenaria esistenza fu persino scelta come Capitale de facto della Repubblica Popolare Ucraina (Stato di breve durata proclamato in seguito al crollo dell’impero russo, dopo la rivoluzione del 1917), quando l’Ucraina cadde sotto il potere bolscevico e le forze comuniste russe occuparono Kyiv.
Ogni pietra del castello di Kamianets-Podilskyj racconta l’incredibile resilienza d’un popolo che per il suo intero ciclo esistenziale è stato chiamato a resistere. Qui ebbero luogo le rivolte di contadini e operai ucraini represse dalle autorità sovietiche nel sangue (quasi 4mila morti), e i tentativi di resistenza all’occupazione tedesca durante l’operazione Barbarossa (in soli due giorni, tra il 27 e 28 agosto 1941 le Einsatzgruppen naziste massacrarono qui 23.600 ebrei). Come evidenziano le immagini che abbiamo registrato per “La Ragione”, muovendosi tra la parte antica e quella nuova della città emergono le influenze architettoniche e culturali dei diversi popoli che hanno vissuto (e spesso convissuto) in questi luoghi, ma anche il fil rouge che li accomuna: migliaia di nastri, locandine, striscioni e bandierine gialloazzurre, rossonere ed europee rimarcano infatti il desiderio d’esprimere attraverso l’identità nazionale il forte senso d’appartenenza e comunanza valoriale che unisce questa gente. Passeggiando per le vie del centro come nei pressi del castello, ogni balcone, aiuola o lampione reca un vessillo o una composizione floreale che richiama i colori dell’Ucraina.
Nondimeno tuttavia toglie il fiato lo spazio riservato nel cuore della città a coloro che sono caduti per l’indipendenza del Paese. Kamianets-Podilskyj -e più in generale tutta l’oblast’ di Khmenytskyj- ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane per ciascuno di questi nove anni di guerra, tanto che oggi il centro della città è ormai un cimitero a cielo aperto. Volgere lo sguardo dalle facciate intonse dei palazzi a quelle migliaia di lapidi e iscrizioni commemorative dà una misura della brutalità con cui certi luoghi apparentemente risparmiati dalle bombe siano in realtà stati colpiti ancor più profondamente al cuore. Inginocchiato a terra tra una fitta serie di banner con impressi i volti di ragazzi poco più che ventenni vediamo un uomo abbracciare con gli occhi i propri due figli: Artur e Oleksandr, tre anni di differenza; caduti entrambi a Bakhmut, leggiamo. Stringendo al cuore il cappello fra le mani giunte, quell’uomo in silenzio esprime un vuoto in cui anche il tempo sembra fermarsi. Poco distante, una giovane donna accarezza il viso d’un ragazzo di 26 anni riprodotto a colori su un telo in pvc. Per quanto si sforzi, non riesce a trattenere le lacrime mentre il figlio che aveva in braccio prova a muovere qualche passo per posare da solo un pupazzetto di peluche accanto all’immagine del padre. In mente abbiamo ancora le fosse vuote scavate accanto alle tombe fresche viste poche ore prima a Bila Tserkva. In lontananza sentiamo il suono lieve d’una tromba accompagnare un corteo funebre. Senza dirsi una parola -perché anche uno sguardo può far male- il pensiero vola ai nostri cari al fronte. Di Alla Perdei e Giorgio Provinciali

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