Due bandiere, Ucraina ed Unione Europea insieme
Fronte Est – due stendardi ondeggiano con i colori per cui la gente qui è disposta a battersi fino a morire: quelli dell’Ucraina e dell’Unione Europea
Due bandiere, Ucraina ed Unione Europea insieme
Fronte Est – due stendardi ondeggiano con i colori per cui la gente qui è disposta a battersi fino a morire: quelli dell’Ucraina e dell’Unione Europea
Due bandiere, Ucraina ed Unione Europea insieme
Fronte Est – due stendardi ondeggiano con i colori per cui la gente qui è disposta a battersi fino a morire: quelli dell’Ucraina e dell’Unione Europea
Fronte Est – due stendardi ondeggiano con i colori per cui la gente qui è disposta a battersi fino a morire: quelli dell’Ucraina e dell’Unione Europea
Fronte Est – Tutto il tratto di strada che da Sloviansk porta a Kramatorsk e poi ancora fino a Chasiv Yar da un lato e Kostiantinivka dall’altro è colorato di giallo e d’azzurro. I colori ucraini sono ovunque: sui banner sospesi a mezz’aria sopra alle strade principali, nei vessilli conficcati ai margini delle mulattiere devastate dai colpi d’artiglieria, nei murales a ogni fermata dell’autobus e nelle caratteristiche effigi poste all’ingresso d’ogni centro abitato. Oltre quel tripudio di colori ispirato all’amor di patria e gli ultimi checkpoint c’è il fango ghiacciato su cui sfrecciano i tank lasciando nuvole nere di gasolio combusto, il cui odore acre si mescola a quello della polvere da sparo. Sul punto più alto dell’unico ponte rimasto oltre Kostiantinivka e prima delle ceneri di Chasiv Yar ondeggiano due stendardi che dovrebbero vedere almeno una volta tutti coloro che si chiedono per cosa questa gente è disposta a battersi fino alla morte: quello dell’Ucraina e quello dell’Unione europea. È sinceramente commovente e fa sentire in difetto chiunque abbia l’onestà d’ammettere che la difesa di quella comunanza valoriale per cui qui si muore viene altrove spesso snobbata, al punto da credere che qualcuno addirittura se ne vergogni. Il cerchio stellato su campo blu qui invece si trova perfino sugli chevròn dei soldati e ogni volta che qualcuno di loro capisce d’aver di fronte un giornalista europeo non perde occasione per rimarcare la sua gratitudine parlando di ciò che lega l’Ucraina all’Unione. Nonostante in quest’oblast’ (Donetsk) si combatta ormai da dieci anni contro l’invasore russo, ciò che stupisce di più è il morale dei soldati, tanto da lasciarci sinceramente basiti. Per il tutto tempo in cui abbiamo effettuato le nostre riprese nei pressi del crocevia principale abbiamo visto sfrecciare blindati e carrarmati da cui i soldati s’affacciavano incitandoci, clacsonando e salutandoci con le braccia al cielo come se la vittoria fosse ormai già in tasca.
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Stupiscono la coordinazione e la determinazione di questi ragazzi: ognuno si muove come parte d’un tutto ed è risolutamente deciso nell’agire, enfatizzando l’efficacia di sincronismi ormai collaudati e studiati nei minimi dettagli. Non una sbavatura, un’incertezza, un timore. Abbiamo incontrato una quarantina di soldati, molti dei quali erano della III divisione d’Azov: sembravano spartani prima della battaglia. «Il nemico ci supera numericamente di sole tre volte. Più zombie ci manderanno, più ne triteremo» ci dice uno di loro, ricordandoci condizioni d’inferiorità numerica iniziali di dieci a uno. «Un colpo, un orco» scrive sulla nostra bandiera un altro, rivelandoci d’essere uno degli sniper con lo score migliore da due anni a questa parte. Su un volto coperto di fuliggine, spicca il suo sorriso carico d’energia e motivazione tanto da lasciarci senza parole. Pur essendo per antonomasia forse il fronte più brutto di tutta la guerra, è oggi anche quello in cui si trovano coloro che hanno fatto proprio della guerra la loro arte e un motivo di vita da ormai dieci anni. Cacciare il nemico è un imperativo categorico assoluto, una resa dei conti da saldare anche per conto dei familiari che nel corso di questi anni hanno avuto la casa distrutta e la vita rovinata. «Ucraina o morte». Per chi è qui, non esiste altra soluzione possibile.
Di Alla Perdei e Giorgio Provinciali
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