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genocidi russi

Il curriculum di genocidi russi

Nel curriculum dei genocidi russi c’è la secolare scia di sangue del nazionalismo moscovita

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Il curriculum di genocidi russi

Nel curriculum dei genocidi russi c’è la secolare scia di sangue del nazionalismo moscovita

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Il curriculum di genocidi russi

Nel curriculum dei genocidi russi c’è la secolare scia di sangue del nazionalismo moscovita

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Nel curriculum dei genocidi russi c’è la secolare scia di sangue del nazionalismo moscovita

«L’obiettivo della “operazione militare speciale” è innanzitutto quello di proteggere i russi e la Russia dalle minacce poste loro nelle nostre terre storiche che confinano col nostro territorio. Non lo possiamo permettere». Così ha detto l’altro ieri Putin, subito riportato dall’Ambasciata della Federazione Russa in Gran Bretagna. Difficile trovare in tempi recenti un’affermazione più imperialista di questa, preoccupata di giustificare con precedenti storici la necessità di protettorati.

Non importa quindi se un Paese si sia liberato dalle catene russe da decenni o da secoli, scegliendo di abbracciare il liberalismo occidentale e le sue tradizioni culturali: una volta che Mosca tocca un suolo straniero, la malen’kaya moskovskaya rasa gospod (“piccola razza suprema moscovita”) ritiene sia suo per sempre e che l’eventuale indipendenza sia un’eresia passeggera. Proprio per questo negli ultimi undici mesi i media russi hanno schiaffato l’aggettivo nazista su qualunque nemico, reale o percepito: ucraini, kazaki, estoni, lituani, lettoni, polacchi e l’intero Occidente. Un ¡todos caballeros! pronunciato da un Paese i cui organigrammi statali sono invece davvero infestati da nazisti dichiarati come Dmitrij Rogozin.

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Tutto questo non è altro che l’involontario regalo di Brežnev che, incapace di attuare il paradiso comunista, si adagiò sulla vendita di petrolio e sulla rievocazione della Grande guerra patriottica con sontuose parate e funambolismi storici che sotterravano il patto Molotov-Ribbentrop e il contributo degli Alleati alla vittoria sovietica. Da lì deriva il sillogismo infantile che ci viene propinato adesso – Hitler si opponeva a Mosca ed era nazista; tu ti opponi a Mosca, ergo sei un nazista – ma in un significato che ha però perso completamente il senso originario di membro dell’ultradestra nazionalista. Le cause di questa guerra sono insomma da ricercare in quel aut aut (o ti senti soggetto alla Russia o sei un traditore) che ha permeato ogni angolo del potere al Cremlino e idealizzato il velikaja derzhava (“il grande Stato”) già tanto caro ai fascisti russi e molto usato da Putin nei suoi discorsi. Un’interpretazione della russità come entità suprema e superiore su qualsiasi altro focolare etnico e che porta quindi all’annientamento di ogni autodeterminazione dei popoli.

Ne sanno qualcosa i circassi – il cui etnonimo originale è adǝgă (“adighè” cioè il popolo “dei monti e del mare”) – che a causa dei conquistatori russi persero nel XIX secolo nove decimi della loro popolazione e le terre del Caucaso che abitavano da più di mille anni. Uno sterminio chiamato Tsitsekun dai sopravvissuti e negato tuttora con veemenza dalla Russia. Lo sanno i tatari della Crimea oppressi sotto l’attuale governo russo d’occupazione. Lo sanno i ceceni massacrati da Stalin con l’operazione Čečevica (“Lenticchie”) e in due guerre successive allo scioglimento dell’Unione Sovietica, scatenate per punire la loro voglia d’indipendenza nell’ignavia della comunità internazionale. Lo sanno i kazaki, che negli anni Trenta dello scorso secolo videro quasi dimezzato il loro numero a causa dell’Asharshylyk (la carestia causata dalle collettivizzazioni sovietiche), del tutto simile al di poco successivo Holodomor ucraino. Un lungo curriculum di genocidi che va interrotto.

di Camillo Bosco

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