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Il viaggio da Mariupol un attimo prima dell’aggressione

All’alba del 24 febbraio 2022 Nataliya e suo marito cercano di lasciare Mariupol. Lo scenario che si troveranno davanti dopo pochi minuti cambierà per sempre la loro vita
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Chernivtsi – Nataliya e il marito sono nativi di Zaporizhzhya ma vivono a Mariupol. Il 21 febbraio 2022 il cognato nell’esercito li avvisa dell’imminente invasione russa, suggerendo loro di lasciare la città. Sprovvisti di un’automobile, contattano un driver privato che si offre di evacuarli all’alba del 24 febbraio. Giunti all’appuntamento prestabilito, nei pochi minuti in cui l’autista mette in moto la vettura per scaldarne il motore ricevono un’altra chiamata: ogni via d’accesso è bloccata dai russi.

La coppia ritorna alla propria abitazione proprio mentre una pioggia di missili s’abbatte sulla città. Il tempo di chiudere il portone e un boato violentissimo avvolge i piani bassi del palazzo. Il marito di Nataliya riesce a trascinarla a forza nei basamenti proprio mentre un’altra esplosione provoca il collasso della struttura, seppellendoli sotto una montagna di macerie. Entrambi perdono conoscenza e si risvegliano negli scantinati solo a tarda sera. L’uomo sanguina da un orecchio e dal naso, non sente e non vede bene. Nataliya cammina a fatica. Scavando tra le macerie e cibandosi di quel che trovano nelle cantine riemergono solo il 3 marzo, trovandosi di fronte uno scenario spettrale: ogni strada è cosparsa di cadaveri; i sopravvissuti hanno acceso un fuoco di fronte alla porta di casa o nel giardino e di tanto in tanto escono a sciogliere un po’ di neve; vi è una lunghissima coda davanti all’unico negozio rimasto aperto; i telefoni non funzionano e da giorni mancano acqua ed elettricità.

Rimasti ospiti nello scantinato di amici fino al 18 marzo, tentano la fuga su un’auto malconcia ma ancora funzionante. Un macabro slalom tra i cadaveri li conduce a un checkpoint militare. In russo i soldati gli chiedono come mai vogliano lasciare la città visto che son venuti a liberarli dai nazisti ucraini, poi li lasciano passare. Con un powerbank trovato per terra accanto a un morto, Nataliya riesce ad avviare il suo smartphone. Durante il viaggio risponde alla chiamata della cognata, che in lacrime l’avvisa della morte di uno dei suoi due figli. I soldati che li fermano a un secondo checkpoint chiedono loro se hanno del cibo da dargli in segno di gratitudine. Pagando 1.500 hrivnie ciascuno per almeno un’altra decina di posti di blocco, riescono a raggiungere Berdyansk.

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Trascorsa qualche ora, Nataliya comprende che neppure quella città è un posto sicuro e decide un’ultima disperata fuga verso Zaporizhzhya. Facendosi largo tra decine di altri disperati, riesce a salire con il marito ferito su un autofurgone in partenza verso il Nord. Il mezzo viene fermato da soldati buriati e ceceni appostati nei pressi di Tokmok e tutti i passeggeri vengono fatti spogliare: passato al setaccio ogni effetto personale (inclusi la rubrica telefonica e i dati salvati in clouding sugli smartphone), i soldati concedono soltanto a pochi di procedere. Entrambi possono così raggiungere Zaporizhzhya, dove resteranno nonostante i continui scontri nei pressi della centrale nucleare di Enerhodar. Il 6 maggio una seconda telefonata li avviserà della morte del loro secondo figlio, in forze nel Reggimento Azov, caduto durante l’evacuazione di alcuni civili dall’acciaieria Azovstal.

Sopravvissuta all’inferno di Mariupol, Nataliya ha perso la casa e i suoi due figli eppure riesce ancora a parlare di speranza per il suo Paese.

Di Giorgio Provinciali

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