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La Bielorussia e Putin

La Bielorussia e Putin

Alleati fedeli, finti alleati e alleati involontari: ciò che lega la Bielorussia di Lukašėnka alla Russia del criminale Putin è molto complicato da capire per noi occidentali.
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Alleati fedeli, finti alleati e alleati involontari: ciò che lega la Bielorussia di Lukašėnka alla Russia del criminale Putin è molto complicato da capire per noi occidentali.
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Alleati fedeli, finti alleati e alleati involontari: ciò che lega la Bielorussia di Lukašėnka alla Russia del criminale Putin è molto complicato da capire per noi occidentali.
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Alleati fedeli, finti alleati e alleati involontari: ciò che lega la Bielorussia di Lukašėnka alla Russia del criminale Putin è molto complicato da capire per noi occidentali.
Un alleato può essere fedele. Alcune volte lo si può definire addirittura un seguace. Dmitrij Anatol’evič Medvedev lo è sicuramente del criminale Putin, col quale condivide la difesa dell’imperialismo russo soprattutto tramite scellerati post su Telegram. Un alleato può essere invece interessato e in questo caso appare appropriato accostarlo a un socio sotto contratto. Kadyrov, il dittatore della Cecenia, e Prigožin, il proprietario dei mercenari Wagner, devono entrambi le loro fortune al bisogno di carne da macello del regime zetista. Se l’alleato è in una posizione quasi subalterna, potrebbe essere simile a uno scagnozzo o a un turiferario deciso a mostrarsi entusiasta nel seguire la processione che conduci. Come il capo dell’amministrazione russa d’occupazione nell’oblast’ di Chersòn, quel Cirillo Stremousov arrivato a realizzare un bizzarro videoclip musicale dove canta la sua speranza che il russkiy mir si allarghi al mondo intero, augurandosi di poter bere il kvass (bevanda fermentata di largo consumo in Russia) persino in Texas. Poi vengono i finti alleati – tutti fumo e niente arrosto – e gli alleati involontari, che si dice Lenin amasse definire «utili idioti». Nel primo caso ricade sicuramente Xi Jinping, la cui «amicizia senza fine con Mosca» non ha mai compreso (per fortuna) la fornitura di armi, mentre il tentativo di Elon Musk di accrescere l’ansia internazionale riguardo le minacce nucleari del Cremlino lo assegna d’ufficio alle liste dei secondi (nonostante la sua benemerita rete satellitare Starlink ora concessa in comodato d’uso agli invasi). Nel lungo elenco di diversi tipi di alleanza spicca sicuramente quella che lega Russia e Bielorussia, la più complicata da capire in Occidente. Può sembrare strano a molti, ma quando Aljaksandr Lukašėnka firmò con Boris El’cin il protocollo di unione tra i due Paesi lo fece perché pensava di poter ottenere per sé il trono sovietico. Boris era d’altronde un leader debole e alcolizzato e, sebbene meno potente, la Bielorussia aveva resistito meglio al crollo dell’Urss e per imporsi poteva approfittare della debolezza del fratello maggiore di rus’. Poi però i siloviki miracolarono un oscuro burocrate di San Pietroburgo e così Lukašėnka vide sfumare i suoi ambiziosi piani. Da quel momento è iniziata la croce e delizia dei rapporti tra Minsk e Mosca. In cambio della fatua promessa di ritornare sotto il dominio russo – e sotto il ricatto di revocarla senza preavviso – negli anni si sono così accumulati numerosi vantaggi per il regime di Lukašėnka: energia a basso prezzo, condizioni proficue di mercato, aiuti economici diretti. Quando però Putin è venuto a battere cassa, pretendendo una via privilegiata per assaltare Kyïv, l’autocrate di Minsk non si è potuto sottrarre. Coi risultati che conosciamo. Ora assistiamo di nuovo a un ammassarsi di Z truppen al confine Nord dell’Ucraina e molti temono che vi sia il rischio che un altro attore entri nel teatro bellico. Con tutta probabilità però Lukašėnka sta solo compiendo il suo solito gioco di appeasement col suo omologo russo. Il suo esercito dona in quantità munizioni e carri alla disastrata armata putiniana ma si tiene ben lontano dal fronte, lasciando che il ruscismo devasti gli ultimi vent’anni di crescita economica moscovita. Sia mai che, al termine di questa guerra, la Russia abbia bisogno di un nuovo leader con cui ripartire.   di Camillo Bosco

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