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La testimonianza dall’Ucraina: “Quest’incubo ha i giorni contati”

Il coraggio di Ivan, che ci racconta com’è la vita sotto l’occupazione russa. Un’oppressione che non riesce a spazzare via la sua speranza: “Quest’incubo ha i giorni contati”
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La testimonianza dall’Ucraina: “Quest’incubo ha i giorni contati”

Il coraggio di Ivan, che ci racconta com’è la vita sotto l’occupazione russa. Un’oppressione che non riesce a spazzare via la sua speranza: “Quest’incubo ha i giorni contati”
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La testimonianza dall’Ucraina: “Quest’incubo ha i giorni contati”

Il coraggio di Ivan, che ci racconta com’è la vita sotto l’occupazione russa. Un’oppressione che non riesce a spazzare via la sua speranza: “Quest’incubo ha i giorni contati”
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Il coraggio di Ivan, che ci racconta com’è la vita sotto l’occupazione russa. Un’oppressione che non riesce a spazzare via la sua speranza: “Quest’incubo ha i giorni contati”
Vyznycja – Dopo un lungo viaggio per le tortuose strade innevate della Bukovyna raggiungiamo Ivan, un omone sulla settantina che ha accettato di raccontarci com’è stata la vita sotto occupazione russa. Prima di vedersi assegnata dallo Stato l’abitazione provvisoria in cui siamo andati a trovarlo, Ivan viveva infatti con la moglie in una villetta poco distante da quella parte di Kherson che sino allo scorso settembre era occupata dai russi. Nonostante quel piccolo sobborgo oggi sia tornato saldamente sotto il controllo di Kyiv, Ivan non può più farvi ritorno perché quella splendida palazzina un tempo adornata dalle caratteristiche grafiche ucraine, oggi è un mucchietto di cenere. Un missile russo l’ha centrata in pieno, dopo la ritirata. «Vi auguro di non provare mai quel che si sente camminando con la canna fredda d’un fucile puntata contro. Io ho vissuto così per mesi, tanto da fare l’abitudine al presentimento della fine». Ivan esprime in termini percettivi le sensazioni provate perché è ipovedente per oltre il 90%: «L’anno scorso, camminando per il solito percorso che da casa mi porta a prendere il pane, venivo atterrato da un colpo violentissimo alla nuca. Ho capito che era il calcio di un fucile perché qualche istante dopo ne avevo la canna spinta contro le labbra fino a entrarmi in bocca, mentre una voce mai sentita prima m’intimava in russo di non camminare più di lì». Racconta d’aver provato a spiegare al soldato russo che l’aveva colpito che quello era l’unico percorso conosciuto, e che nelle sue condizioni non avrebbe saputo orientarsi altrimenti. Nonostante ciò, per mesi, ogni volta che passava di lì Ivan veniva redarguito e spesso sospinto dalla canna del fucile puntata alla schiena: «Un bel giorno ho indossato le mie cuffie per non sentirli più». LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” Per un paio di volte gli sono stati offerti i diecimila rubli (circa 120 euro) che arrivavano da Mosca per corrompere i locali a sostituire i propri documenti con quelli russi. Ovunque si poteva pagare solo con la moneta degli invasori, tranne in un punto (presto sparito) in cui accettavano la riconversione in Hrivnia a tassi mostruosamente sconvenienti. «Mio figlio è ancora lì, sulla sponda Est del Dnepr, nella Kherson ancora occupata. La corresponsione di qualsiasi mansione avviene ormai soltanto in rubli, per cui noi ucraini ci limitiamo all’utilizzo di quella poca moneta ricevuta in cambio di mansioni di bassa manovalanza per acquistare i beni di prima necessità. Nulla di più. Nessuno dei nostri conoscenti ha mai accettato di convertire le proprie Hrivnie in rubli, perché sappiamo che presto sarà carta straccia». Il Governo di Kyiv ha ribadito infatti che non verrà riconosciuto alcun valore legale alle transazioni avvenute durante l’occupazione, inclusa la compravendita di beni ed immobili in Crimea. «Quest’incubo che non avremmo mai voluto vivere ha ormai i giorni e le ore contate. Presto riabbracceremo i nostri figli. Loro lo sanno, e ci aspettano». Salutandomi, Ivan mi mostra una bandiera ucraina conservata per mesi sottoterra nel giardino di casa durante l’occupazione rascista, dicendomi che suo figlio ne ha una identica, conservata alla stessa maniera. «È solo questione di tempo». Di Giorgio Provinciali

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