Le stragi di Izium
Izium – Uno scenario spettrale, fatto di macerie e di fosse comuni, che dà un’infinitesima idea della devastazione portata dai russi in questi luoghi
Le stragi di Izium
Izium – Uno scenario spettrale, fatto di macerie e di fosse comuni, che dà un’infinitesima idea della devastazione portata dai russi in questi luoghi
Le stragi di Izium
Izium – Uno scenario spettrale, fatto di macerie e di fosse comuni, che dà un’infinitesima idea della devastazione portata dai russi in questi luoghi
Izium – Uno scenario spettrale, fatto di macerie e di fosse comuni, che dà un’infinitesima idea della devastazione portata dai russi in questi luoghi
Izium – Venticinque minuti senza interruzioni e senza che un solo fotogramma non ritragga uno scenario spettrale fatto di macerie e carcasse divelte d’auto bruciate, ripreso viaggiando per le strade d’Izium, bastano solo a dare un’infinitesima idea della devastazione portata dai russi in questi luoghi. Nel 2021 Izium vantava quasi 46mila abitanti. Dopo il passaggio del russkij mir non sono rimaste altro che poche centinaia d’anime, che s’aggirano come spettri fra le rovine d’una città distrutta.
Fra quei pochi superstiti, di fronte all’enorme squarcio che s’apre fra gl’interni inceneriti di due alti palazzi, incontriamo Petro: ringraziandoci con gli occhi zuppi di lacrime per la nostra presenza, ci spiega che in quel solo bombardamento russo morirono 144 persone e lui riuscì a salvarsi miracolosamente trovandosi negli scantinati. Indicandoci il complesso residenziale sul lato opposto della strada, distrutto allo stesso modo tanto da non trovare neanche traccia d’uno degli edifici crollati, aggiunge che lì ne morirono altre 53. Salendo le scale piene di calcinacci di quei ruderi troviamo oggetti di vita quotidiana, album di fotografie bruciati, libri, vestiti, scarpe, materassi. Sopra uno dei portoni qualcuno ha disegnato una candela scrivendo “пам’ятаємо” (Noi ricordiamo).
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Al di là di tre enormi crateri vediamo una delle scuole d’Izium, i cui muri esterni sono stati ridotti a un colabrodo dai colpi di carrarmati e bazooka, lasciando esposti registri scolastici, lavagne e banchi di scuola bruciati. Nella piazza antistante troviamo un edificio annerito che capiamo essere una stazione di pompaggio delle riserve idriche locali: scendendo con noi l’irta scalinata verso i sotterranei, Petro ci mostra ampi serbatoi da cui s’avverte tuttora un forte odore di gasolio, spiegandoci che i russi lo mescolarono all’acqua per renderla inutilizzabile. Non distante dall’altoparlante nella piazza principale da cui vengono diffuse le ultime notizie c’è quel che resta del policlinico d’Izium: fra lettini bruciati e sacchi di sabbia alle finestre notiamo una quantità impressionante di scatole verdi contenenti le razioni militari usate dai russi. Fra due portoni crivellati di colpi recanti la scritta “Дeти” (Bambini) notiamo uno squarcio tanto grande sulla facciata da poterci entrare. Come ben visibile nel video reportage, il primo oggetto che ci siamo trovati di fronte è stato la culla d’una bambina. Appesi a essa, due biglietti rosa riportano ancora il suo nome. Nella stanza accanto vediamo scarpette e vestitini d’un’altra bimba che dalle foto incorniciate a terra capiamo essere sua sorella. Risalendo il palazzo dalle scale interne notiamo diverse scritte “Зайнято Z”: gli appartamenti rimasti intatti furono dunque occupati dai russi, che poi vi si asserragliarono prima d’esser scacciati durante la prima controffensiva.
Dove finirono molte di quelle famiglie purtroppo lo si capisce allontanandosi dal centro abitato: una strada verso il bosco apre infatti alle fosse comuni d’Izium, in cui i russi gettarono i corpi di 449 civili innocenti scacciati dalle proprie case, torturati, stuprati, mutilati. Su una lapide leggiamo «Gambe amputate. Senza nome». Molte altre recano soltanto un numero. I russi hanno fatto a pezzi, bruciato e violentato certi corpi tanto da renderli irriconoscibili. A pochi metri da quelle fosse comuni allestirono le loro tende, le cucine da campo e le docce estive. Decine di bottiglie di vodka sono ancora a terra accanto alle loro divise, alle scatole delle munizioni e alle loro tende. Pochi metri oltre, i sacchi neri in cui smisero perfino di mettere i cadaveri. Su un cartoncino appeso a un albero notiamo due frecce ortogonali e la scritta in russo: «Chi è oltre queste linee è morto».
Di Alla Perdei e Giorgio Provinciali
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