Navalny, la speranza chiusa in una gabbia di cemento
Aleksey Navalny, il 46enne dissidente che il leader del Cremlino teme come la kryptonite. Navalny, arrestato nel gennaio 2021 di ritorno dalla Germania sta scontando una pena detentiva di 9 anni per frode, violazione della libertà condizionata e oltraggio alla corte
Navalny, la speranza chiusa in una gabbia di cemento
Aleksey Navalny, il 46enne dissidente che il leader del Cremlino teme come la kryptonite. Navalny, arrestato nel gennaio 2021 di ritorno dalla Germania sta scontando una pena detentiva di 9 anni per frode, violazione della libertà condizionata e oltraggio alla corte
Navalny, la speranza chiusa in una gabbia di cemento
Aleksey Navalny, il 46enne dissidente che il leader del Cremlino teme come la kryptonite. Navalny, arrestato nel gennaio 2021 di ritorno dalla Germania sta scontando una pena detentiva di 9 anni per frode, violazione della libertà condizionata e oltraggio alla corte
Aleksey Navalny, il 46enne dissidente che il leader del Cremlino teme come la kryptonite. Navalny, arrestato nel gennaio 2021 di ritorno dalla Germania sta scontando una pena detentiva di 9 anni per frode, violazione della libertà condizionata e oltraggio alla corte
In Russia c’è una speranza. Seppellita in una gabbia di cemento armato controllata 24 ore su 24, perché la chimera di una Russia onesta e meritocratica è l’antagonista più irriducibile al delirio imperialista fondato sul terrore. Questa speranza risponde al nome di Aleksey Navalny, il 46enne dissidente che il leader del Cremlino teme come la kryptonite. Arrestato nel gennaio 2021 di ritorno dalla Germania – dove era stato ospitato per riprendersi da un tentativo di avvelenamento con il Novichok che lo aveva quasi ucciso – Navalny sta scontando una pena detentiva di 9 anni per frode, violazione della libertà condizionata e oltraggio alla corte. Dalla cella di massima sicurezza in cui è recluso non smette di denunciare abusi e corruzione su cui il sistema russo si regge da decenni, motivando con il suo team migliaia di cittadini con cui condivide il sogno di una Russia onesta e libera.
A poche ore dall’invasione su larga scala dell’Ucraina, il suo canale Telegram contava già più di 600mila iscritti, schierati contro la guerra. Sul suo conto Putin ha rivolto le stesse accuse di neonazismo e servilismo verso l’Occidente riservate agli ucraini che destituirono il regime cleptocratico di Viktor Yanukovich, mettendo in moto contro di lui la medesima macchina delle menzogne usata per diffondere fake news a livello globale sull’invasione del Donbas (iniziata nel 2014 e spacciata per guerra civile) e sul reggimento Azov.
Dal cubicolo in cui è recluso – descritto come un «canile di cemento in cui è vietato vedere altri detenuti e ricevere pacchi e lettere» – Navalny respinge le nuove accuse di terrorismo ed estremismo, in forza delle quali la sua pena detentiva potrebbe essere estesa sino a 30 anni. «Sono stato messo in isolamento dieci volte in un anno per aver tentato d’istituire un sindacato dei detenuti nella colonia penale IK-6 di Melekhovo (nella regione di Vladimir, a 250 km da Mosca, ndr.), per aver spazzato male il cortile, essermi sbottonato la camicia o aver omesso il patronimico del tenente Neimovich rivolgendomi a uno dei miei carcerieri, per aver tolto le mani da dietro la schiena tre secondi mentre camminavo lungo un corridoio e persino per essermi lavato la faccia mezz’ora prima del dovuto» fa sapere sul suo profilo Twitter tramite la portavoce Kyra Yarmish.
In Russia non è semplice essere l’avvocato difensore di un dissidente di Putin. Lo sanno bene i legali Olga Mikhailova e Vadim Kobzev, fermati e poi rilasciati per aver scambiato qualche parola con alcuni giornalisti. Più di un centinaio di medici russi hanno firmato martedì una lettera aperta in cui esortavano Putin a «smettere di abusare di Navalny impedendogli di accedere a cure mediche adeguate e privandolo dei propri diritti». «È un caso assolutamente politico, tutte le prove della sua colpevolezza sono false» taglia corto Sergei Davidis, membro dell’Ong Human Rights Center “Memorial”, chiusa il 29 dicembre 2021 per ordine del tribunale di Mosca e testimone di Navalny al processo d’appello in cui il dissidente russo tuonò: «È una guerra stupida e costruita sulle bugie, quella lanciata da Putin. Un folle ha affondato i suoi artigli in Ucraina e non so cosa voglia farne, quel ladro pazzo».
Di Giorgio Provinciali
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