Non lasciateci mai più
Le immagini di Kherson festante fanno da contraltare a quelle della città deserta in cui nei giorni del referendum-farsa, dalle camionette, i soldati russi intimavano il voto con il megafono
Non lasciateci mai più
Le immagini di Kherson festante fanno da contraltare a quelle della città deserta in cui nei giorni del referendum-farsa, dalle camionette, i soldati russi intimavano il voto con il megafono
Non lasciateci mai più
Le immagini di Kherson festante fanno da contraltare a quelle della città deserta in cui nei giorni del referendum-farsa, dalle camionette, i soldati russi intimavano il voto con il megafono
Le immagini di Kherson festante fanno da contraltare a quelle della città deserta in cui nei giorni del referendum-farsa, dalle camionette, i soldati russi intimavano il voto con il megafono
Kherson – Da venerdì scorso piazze e strade si affollano ogni giorno di ucraini che in lacrime intonano l’inno nazionale e altri canti patriottici sino a quando scatta il coprifuoco, imposto per mettersi al riparo dagli attacchi russi. Le immagini di Kherson festante fanno da contraltare a quelle della città deserta in cui nei giorni del referendum-farsa, dalle camionette, i soldati russi intimavano il voto con il megafono.
«Abbiamo cercato di restare in contatto tra noi, nascondendo sottoterra queste bandiere che oggi sventolano. Sapevamo che il nostro Paese non ci avrebbe dimenticati, ma è stata dura. I russi hanno interrogato tutti casa per casa, saccheggiando, stuprando e freddando innocenti per nulla» mi racconta Slavik, rimasto in città durante tutti questi lunghi mesi. Ci siamo sentiti telefonicamente perché è impossibile avvicinarsi al centro di Kherson: troppe strade devono ancora essere bonificate. Nelle cariche esplosive lasciate dai russi i genieri ucraini trovano macabre dediche: “Dalla Russia con amore”, “Con tutto il mio cuore”, “Torneremo”. Non corrispondono all’esecuzione di un ordine preciso ma sono la manifestazione di un odio latente misto al desiderio d’infliggere dolore.
Televisioni, radio, telefoni e conti bancari sono tornati operativi in lingua ucraina. Nel centro di Kherson è stata ristabilita la connessione a banda larga Lte e ora è possibile aiutare economicamente amici e parenti con il sistema di pagamenti internazionali Swift, non sottoposto a restrizioni. I russi in ritirata hanno distrutto i tralicci dei ripetitori, costringendo i tecnici ucraini a lavorare giorno e notte. A Kherson sono mancate medicine, acqua e cibo; la città è tuttora senza elettricità. Un uomo ha raccontato disperato di aver ricevuto in otto mesi appena dodici pagnotte, da dividere con tutta la famiglia. Si temono adesso le provocazioni dei pochi soldati russi rimasti sotto mentite spoglie. Nella banca dati del Ministero degli Interni ucraino vengono inseriti i nomi dei civili rimasti, al fine di restringere la cerchia di collaborazionisti e separatisti tracciandone gli spostamenti. Molti residenti sono stati deportati con la forza ed è utile mettere agli atti le dichiarazioni di chi è rimasto.
La strenua resistenza di questa gente è stata eroica sin dai primi giorni: come oggi, scesero tutti in piazza con le bandiere giallazzurre opponendosi a mani nude ai camion con le “Z” che incedevano. Una delle ultime comunicazioni che ho ricevuto è stata la videochiamata di un parente, interrotta quando i soldati russi hanno iniziato a sparare sulla folla. Insieme al vessillo ucraino, è stata issata su questa piazza martoriata la bandiera europea. Un gesto che dice molto sulle aspirazioni di questa gente ma utile anche a noi, perché i valori che ci uniscono dovrebbero essere quelli dimostrati da chi ha saputo resistere a ogni violenza coltivando quel sogno europeo di libertà e uguaglianza che troppo spesso in Occidente viene snobbato.
I russi hanno ordinato l’evacuazione di Nova Kakhovka e spostato a Henichesk il capoluogo dell’oblast’ occupata. Un mese fa affiggevano cartelloni con scritto “La Russia sarà qui per sempre”. Oggi gli ucraini riabbracciano i loro soldati, offrendo loro il poco rimasto e implorando: «Non lasciateci mai più».
Di Giorgio Provinciali
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