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Nel culto della morte si celebra il requiem russo

La solennità con cui viene ritualizzata la chiamata alla morte in Russia riflette oggi il processo di nazificazione di una nazione eretta su un sistema autarchico e cleptocratico di stampo criminale
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Nel culto della morte si celebra il requiem russo

La solennità con cui viene ritualizzata la chiamata alla morte in Russia riflette oggi il processo di nazificazione di una nazione eretta su un sistema autarchico e cleptocratico di stampo criminale
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Nel culto della morte si celebra il requiem russo

La solennità con cui viene ritualizzata la chiamata alla morte in Russia riflette oggi il processo di nazificazione di una nazione eretta su un sistema autarchico e cleptocratico di stampo criminale
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La solennità con cui viene ritualizzata la chiamata alla morte in Russia riflette oggi il processo di nazificazione di una nazione eretta su un sistema autarchico e cleptocratico di stampo criminale
«La vita è molto sopravvalutata. Perché temere ciò che è inevitabile? Morendo per una giusta causa possiamo dare un senso a vite altrimenti inutili. Tanto noi russi alla fine andiamo sempre in Paradiso». Le parole pronunciate da Soloviev sulla prima emittente televisiva russa riprendono quelle dette da Putin a una madre che aveva appena perso il figlio in quell’inutile bagno di sangue chiamato “operazione militare speciale”. Anche nel culto della morte il rascismo ridà voce ai peggiori motti nazisti urlati ottant’anni fa dal fuhrer. La solennità con cui viene ritualizzata la chiamata alla morte in Russia riflette oggi il processo di nazificazione di una nazione eretta su un sistema autarchico e cleptocratico di stampo criminale. La sublimazione della morte è anche spettacolarizzazione di quel processo di brutalizzazione e umiliazione del codardo, del più debole: chi nel Gruppo Wagner si arrende viene assassinato a mazzate in testa e il video dell’esecuzione è diffuso sui telefoni del resto della brigata. Putin s’è rivolto ai fuggitivi della prima mobilitazione definendoli indegni della cittadinanza russa e prospettando per loro pene detentive esemplari, accomunandoli a spie e collaborazionisti occidentali. Sulle principali reti televisive le festività natalizie sono celebrate alternando vecchi artisti sovietici (che invitano i cittadini a ribellarsi a un Occidente che li guarda dall’alto in basso) a battute contro gli ucraini simili a quelle rivolte agli ebrei negli anni Trenta. La chiamata al sacrificio collettivo viene ripresa durante le funzioni religiose e sulle piazze, negli enormi cartelloni evocanti il parallelismo tra la grande guerra patriottica e la “liberazione” del Donbas. «Non ha vissuto la sua vita invano»: così Putin parla del figlio perso in guerra a una delle madri selezionate per comparire in un video diffuso dal Cremlino, contrapponendo l’insensatezza di una vita pacifica al senso di una morte per lo Stato. «Nelle sue parole c’è ben poco richiamo al sovietismo, in cui il culto della madre che cerca di salvare il figlio veniva portato a esempio, mentre c’è molto del processo di nazificazione di una Russia che chiama oggi le madri a rallegrarsi della morte dei propri cari» si può leggere su “Novaya Gazeta Europe”, che definisce Putin «un nazista al potere». Persino nel simbolismo l’ideologia rascista riporta l’orologio indietro di ottant’anni. Gli slogan con le lettere Z, V e O esibiti sulla Piazza Rossa non sono dissimili da quelli esposti nella Berlino nazista. Putin ha fatto recapitare ai presidenti dei Paesi membri del Csi un anello d’oro con vari simboli celebrativi: solo Lukashenko l’ha indossato in pubblico. Prigozhin (proprietario del Gruppo Wagner) ha diffuso un video in cui passeggiava tra le lapidi di un mausoleo; accanto al solo numero di matricola comparivano le onorificenze attribuite ai caduti. Il giorno prima s’era palesato in un’altra clip (contrapposta al “posato” che ritraeva Putin attorniato da attori in mimetica) nella quale aiutava i suoi a impilare i cadaveri dei caduti. Anziché una vittoria impossibile, in questo culto collettivo della morte si celebra il definitivo requiem russo. Di Giorgio Provinciali

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