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Nel terrore dei russi

Boromlia – In questo video i nostri corrispondenti Alla Perdei e Giorgio Provinciali mostrano la portata dei danni arrecati alla popolazione civile ucraina

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Nel terrore dei russi

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Boromlia – In questo video i nostri corrispondenti Alla Perdei e Giorgio Provinciali mostrano la portata dei danni arrecati alla popolazione civile ucraina

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Boromlia – In questo video i nostri corrispondenti Alla Perdei e Giorgio Provinciali mostrano la portata dei danni arrecati alla popolazione civile ucraina

Boromlia – Fecero un deserto e lo chiamarono pace. Al loro ingresso in questa città, gli occupanti russi cannoneggiarono ogn’infrastruttura civile senza pietà. Distrussero ogni azienda, tutti i supermercati, i luoghi di ritrovo, gli uffici postali, le abitazioni e perfino le cascine con gli animali. Sotto i colpi dei tank russi crollarono praticamente tutte le facciate dei palazzi e i monumenti, lasciando un paesaggio apocalittico e spettrale che ci è stato impossibile riprendere senza provare un profondo senso di sgomento. Vera, madre di sei figli, racconta d’essersi vista costretta a lavorare sotto i colpi degli sniper russi per prendersi cura di quei pochi animali rimasti vivi, quando il latte diventò l’unico alimento distribuibile in paese.

«I tank degli occupanti erano nascosti nella sola parte di cascinale rimasta quasi intatta, fra le carcasse delle bestie bruciate. Dalla scuola in fondo alla strada, i cecchini russi tenevano sotto tiro perfino i cani. Il loro movimento li infastidiva destando sospetti, dunque andavano uccisi pure loro. Un colpo, poi l’ultimo latrato. Quel macabro safari fu il preludio di ciò che presto toccò anche ai civili». Avvicinandoci a quella scuola trasformata dai russi in fortilizio, vediamo passare una signora con un secchio d’acqua. Si chiama Mariana. Tuttora nel palazzo parzialmente ricostruito in cui vive manca l’acqua corrente. Anche lei è reduce e testimone vivente dell’occupazione russa, che descrive come un incubo. Tagliati fuori dal mondo senza corrente elettrica, linea telefonica né alimenti, lei, la figlia, una coppia di vicini e il nipote d’appena un anno e mezzo sopravvissero in uno scantinato gelido per un mese. Temendo che il pianto del piccolo avrebbe attirato i soldati, per distoglierne l’attenzione dalla realtà Mariana costruì una piccola tenda fatta di cenci e scatole di cartone in cui di tanto in tanto accendeva un lumicino. Nonostante oggi egli abbia quasi quattro anni, a ogni posto di blocco le chiede se quelli di fronte siano “gli omini buoni” o quelli cattivi. Entrando con noi in quella cantina, ci indica i posti in cui era seduto ciascuno di loro. Sfiorando la sedia accanto alla porta, ricorda singhiozzando il giorno in cui il vicino Vasyl uscì per raccogliere qualche provvista senza fare mai più ritorno. Mariana ricorda d’aver stentato a riconoscerlo quando fu chiamata a identificarne il corpo, tanto era massacrato.

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All’interno della scuola molti muri sono marchiati con la Z rascista e uno pure con una svastica nazista. Filmiamo tutto, inorriditi al pensiero che gli esseri immondi che furono qui ebbero pure la sfacciataggine di definirsi “denazificatori”. «Prima del loro arrivo ero felice, avevo uno stipendio e una casa accogliente. Oggi sono costretta a pagarmi il pane rimuovendo le macerie del mio paese». Da due anni questa è l’ulteriore pena toccata a chi -come Mariana- sopravvisse al passaggio del russkij mir a Boromlia ma anche la misura dello scempio che esso comportò. Ogni persona incontrata in questi luoghi era terrificata al punto di temere perfino che la sua testimonianza dei supplizi patiti possa in qualche modo rivolgerglisi contro. L’intensificarsi dei recenti sconfinamenti da parte dei sabotatori russi e l’attività sospetta di quelle spie che mai se ne andarono acuisce un’angoscia che non ha mai smesso di tormentarli.

Pur essendo cresciuti parlando russo, gli abitanti di Boromlia descrivono oggi in perfetto ucraino i russi come orchi assetati di sangue. Ciò che più li unisce oggi è la paura del loro ritorno.

Di Giorgio Provinciali e Alla Perdei

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