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Anche gli oligarchi russi sono stufi di Putin

In Russia l’opinione pubblica conta poco, eccetto quella dell’élite degli oligarchi legate al suo frontman Putin, in cui ormai non credono più
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Anche gli oligarchi russi sono stufi di Putin

In Russia l’opinione pubblica conta poco, eccetto quella dell’élite degli oligarchi legate al suo frontman Putin, in cui ormai non credono più
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Anche gli oligarchi russi sono stufi di Putin

In Russia l’opinione pubblica conta poco, eccetto quella dell’élite degli oligarchi legate al suo frontman Putin, in cui ormai non credono più
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In Russia l’opinione pubblica conta poco, eccetto quella dell’élite degli oligarchi legate al suo frontman Putin, in cui ormai non credono più
Kyiv – L’estratto audio della conversazione telefonica fra il miliardario russo Farlhad Akhmedov e il produttore musicale Iosif Progozhin, diffuso da “Novaya Gazeta Europa” e dai media ucraini, ha alzato parecchio la tensione all’interno del Cremlino: «Putin ha seppellito la Russia, ha fregato tutti e tutto, l’intero Paese, l’intera popolazione». Prontamente smentite (il polonio viaggia veloce, in busta chiusa) e poi ancora rilanciate da diverse agenzie indipendenti, queste poche parole riassumono molto bene – a prescindere dalla loro paternità – una situazione ormai acclarata. In Russia l’opinione pubblica conta poco. Al contrario, ha ancora un suo peso quella delle élite vincolate per interesse all’apparato cleptocratico che ha in Putin il suo frontman. La guerra in Ucraina ha evidentemente rotto il patto criminale che le legava, ridefinendo il baricentro di un sistema che da autoritario sta diventando sempre più totalitario. “Obbedienza uguale ricchezza e prospettive verso lidi occidentali” non è più un’equazione a sistema. Il senso di sottomissione e le sanzioni internazionali preoccupano ormai oligarchi e vassalli quanto un’imminente sconfitta militare. Il fine della grande controffensiva ucraina è infliggere in breve tempo al nemico un danno tale da provocarne il collasso per contraccolpo. Kyiv punta a demolire il consenso interno di Putin con una sconfitta schiacciante sul campo, così clamorosa da non poter essere taciuta o mascherata. Il crescente malumore fra le élite del Paese costituisce proprio il punto di cricca su cui far leva ed è evidente anche ascoltando i pittoreschi dibattiti televisivi russi, col presentatore che sciorina propaganda mentre i presenti invece s’accapigliano. Il regime non cerca più di smobilitare la gente dalla politica, ma semmai di mobilitarla coinvolgendola nella guerra. I messaggi rivolti alla popolazione sono ricchi di slogan pensati per gli strati sociali più bassi e – di fronte alla fantomatica minaccia nazista che giunge da Ovest – invitano a piccole e grandi rinunce a favore del bene collettivo. Il popolo russo resta ostaggio di un sistema in grado di controllarne le comunicazioni, intercettarne le distonie, assuefarne le vite; non riesce così a liberarsi da quella Sindrome di Stoccolma che lo induce a far quadrato attorno al proprio carceriere. Non tutto il gotha russo è invece disposto a barattare l’indifferenza con l’acquiescenza, perché fiuta che allo stato attuale è già moneta fuori corso. Abituati a parlare in soldoni, alcuni oligarchi iniziano a non accettare più d’essere indotti al sostegno attivo perché sanno che farebbero la fine dei Filistei nel tempio. Nelle scorse ore il portavoce dell’intelligence militare ucraina Andriy Yusof ha reso noto che molti rappresentanti dell’élite russa stanno cercando di negoziare garanzie di sicurezza personale, consci del fatto che la cosiddetta “Operazione militare speciale” sia stata un errore colossale e un crimine, il cui epilogo sarà tragico per la Russia. Secondo Yusof, «Putin e la sua cerchia più vicina dovrebbero guardare la bella commedia “La morte di Stalin”. Molto istruttiva e ricca di analogie con la Russia moderna, sarebbe loro utile per comprendere a cosa devono prepararsi». di Giorgio Provinciali

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